(DIRE) Roma, 27 lug. - "E' una richiesta fatta dai radicali, ma per fortuna non e' ancora una riforma. Nel 1978, quando e' stata approvata la Legge 180, si e' introdotto il cosiddetto 'Trattamento sanitario obbligatorio' per una tutela maggiore del paziente che in alcuni momenti perde la capacita' di intendere e di volere e quindi per evitare di fare del male a se stesso e agli altri. Non e' un trattamento che si fa molto volentieri, ma quando noi vediamo che il paziente potrebbe essere in una condizione di pericolo lo proponiamo e poi l'ospedale lo avalla". Risponde cosi' Rosa Maria Scalise, consigliera dell'Ordine dei medici di Roma, interpellata dall'agenzia Dire su un'eventuale riforma del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) avanzata dai Radicali Italiani.
"Certo, la 180 e' stata una riforma importante- prosegue Scalise- perche' ha messo mano alla legge Giolitti che istituiva i manicomi nel 1904. Chiaramente i manicomi oggi non esistono piu', pero' possono esserci dei momenti in cui il paziente non e' proprio in grado di badare a se stesso e ai suoi pensieri; il disturbo del pensiero e' infatti importante perche' porta il paziente al delirio oppure ad avere delle allucinazioni tali che non gli permettono di stare nella realta'. Il Tso per il paziente e' una tutela e penso che non dovrebbe assolutamente essere toccato".
La Sip (Societa' italiana di Psichiatria), intanto, si e' pronunciata "in maniera molto seria sul non dover procedere alla riforma- prosegue la consigliera dell'Omceo Roma- lo stesso hanno fatto illustri opinionisti. Il Tso d'altronde non dura a vita come durava il manicomio, ma al massimo 7 giorni, e tutelare un paziente che sta male e' la priorita' per noi medici". Secondo la Sip, in particolare, bisognerebbe piu' che altro dare efficacia alle normative vigenti.
"Questo senz'altro- commenta ancora Scalise- pero' diciamo che nell'ultimo anno e mezzo si e' data gia' molta attuazione alle normative. Adesso come adesso, rispetto a dieci fa, ci sono piu' trattamenti riabilitativi nelle comunita' terapeutiche, cioe' i pazienti non vengono lasciati a se stessi ma messi nelle comunita' dove rimangono due anni, oppure eventualmente nelle strutture socioresidenziali dove vi permangono altri due anni, per passare infine ai gruppi appartamento, quindi c'e' tutto un percorso di cura che evita anche il ricovero".
La Sip, secondo la consigliera dell'Ordine dei medici di Roma, ha infine ragione quando dice che "andrebbero messe in atto piu' strutture, perche' in alcune regioni c'e' tantissima carenza, mentre in altre come il Lazio si sta bene perche' c'e' stata la trasformazione di tutte le cliniche esistenti in strutture riabilitative- conclude- che hanno aumentato l'offerta".
(Wel/ Dire)