(DIRE) Roma, 3 ago. - La rivista 'Nature' annuncia che un gruppo di ricercatori ha portato a termine un esperimento di modifica del genoma di embrioni umani (Correction of a pathogenic gene mutation in human embryos) per verificare la possibilita' di correggere una patologia. Gli embrioni, poi, sono stati distrutti, in quanto servivano solo per verificare l'efficacia di questa nuova tecnica (Crispr) in grado di modificare il Dna umano. "Il risultato sembra entusiasmante- commenta Adriano Pessina, direttore del Centro di ateneo di Bioetica dell'Universita' Cattolica di Roma- ma non possiamo dimenticare come e' stato ottenuto. Non possiamo ignorare che una terapia, in qualsiasi protocollo scientifico, va sperimentata in funzione anche di chi viene sottoposto all'esperimento, mentre qui gli embrioni umani sono stati generati appositamente per fare questa ricerca e poi sono stati distrutti".
Secondo Pessina, non puo' passare sotto silenzio che "l'embrione umano, comunque venga generato, in qualunque modo e luogo sia generato, e' di fatto e di diritto il 'figlio' di qualcuno e non deve essere trattato come una 'cosa', come 'neutro materiale genetico'. E non possiamo essere tranquillizzati- sottolinea- dal fatto che i ricercatori si siano creati un comitato etico apposito che li ha autorizzati, e che abbiano reclutato i donatori di gameti tramite pubblicita' stampa e via web, ma che abbiano fatto sottoscrivere un modulo di consenso informato a quelli che geneticamente e biologicamente restano 'genitori'. Stupisce la facilita' con cui i progetti di ricerca riescano ad autolegittimarsi oltrepassando anni di discussione e di riflessione etica sui problemi connessi con la manipolazione del genoma umano".
Non bastano le procedure e "non basta la finalita' terapeutica a legittimare un atto che stravolge il senso della generazione umana- aggiunge Pessina- e trasforma un essere umano in una 'cosa' da sottoporre a esperimento e da distruggere perche', anche se 'guarito' dalla patologia, il senso della sua esistenza era quello di essere una 'cavia umana', per quanto microscopica, nella sua iniziale fase di vita".
Questo esperimento, per il direttore del Centro di ateneo di Bioetica dell'Universita' Cattolica di Roma, richiede "una chiara e ferma condanna, in primo luogo dalla comunita' scientifica, che ha piena consapevolezza delle implicazioni etiche e antropologiche dell'irruzione della tecnologia nella costituzione della vita umana. A volte e' necessario porre dei limiti al potere tecnologico per poter salvaguardare il senso stesso della nostra umanita'. Questo momento storico richiede il superamento di ogni sterile contrapposizione ideologica perche' cio' che e' in gioco e' la stessa idea di uomo, di dignita' umana, di rispetto: dobbiamo liberarci dalle manipolazioni linguistiche che celano la chiarezza dei fatti ricorrendo a formule persuasive che parlano di terapie, di doni, di guarigioni, di umanita' futura sottratta per sempre alle malattie ereditarie".
Il rischio, infatti, e' quello di avvolgere "nell'indifferenza il fatto che si siano generati embrioni umani per il solo scopo di ricerca- sottolinea ancora Pessina- abbagliati dalle promesse di future terapie o magari, in futuro, di nuove forme di potenziamento delle capacita' umana: ma quando si e' indifferenti di fronte anche a una sola vita umana generata e distrutta in nome della ricerca si e' aperta una falla difficilmente sanabile nella nostra coscienza morale. Il rischio e' quello di sottovalutare che, una volta aperta la strada alla manipolazione del genoma umano, non sapremo mettere limiti ai progetti di trasformazione delle future generazioni, che diventeranno oggetto e prodotto dei desideri, delle aspettative e delle sperimentazioni genetiche".
I cittadini hanno infine il diritto "di essere informati, di conoscere tutti i termini del dibattito etico, di diventare protagonisti consapevoli di un argomento che oggi appare, a molti, marginale e puo' finire in coda alle notizie di cronaca, ma che nel futuro prossimo investira' la nostra responsabilita' verso i nostri figli, la loro identita', il rispetto della loro unicita', che non sono di certo meno importanti della loro salute", conclude.
(Wel/ Dire)