Roma, 13 set. - Una delle terapie più usate contro il linfoma di Hodgkin? Un protocollo messo a punto da un team italiano. La prova che i trombolitici, farmaci che sciolgono le ostruzioni nei vasi sanguigni, possono salvare gli infartuati in ospedale? Merito della ricerca clinica targata Gissi (Gruppo Italiano Sperimentazione Streptochinasi nell'Infarto del miocardio). I ricercatori italiani, i clinici che studiano come tradurre in soluzioni per i pazienti le scoperte fatte nei laboratori, sono fra i più prolifici: analizzando il databa-se che contiene tutte le pubblicazioni (Pubmed) alla ricerca della nazionalità degli autori scopriamo che, sommando i titoli dal 2005 a 2015, i nostri si piazzano al primo posto nel campo dell'ematologia, dell'oncologia e delle malattie immunologiche come la psoriasi, secondi in reumatologia e dermatologia. D'altronde anche la classifica 2015 dei clinici più citati, e quindi più influenti, stilata da Thompson Reuters - società che analizza il mondo della ricerca - piazza gli italiani al quarto posto fra gli europei, dopo inglesi, tedeschi e olandesi. Cosa che si deve alla tenacia dei singoli e alle "scuole" nate e cresciute in tempi passati. A specialisti e centri di ricerca che attraggono finanziamenti privati e vengono coinvolti in sperimentazioni internazionali: si fanno in Italia il 18,2% degli studi europei. Una percentuale cresciuta di due punti nell'ultimo anno: quasi 600 trial approvati nel 2014. E non si tratta di sperimentazioni residuali: è raddoppiato il numero dei lavori su terapie innovative, come testimonia il 14° rapporto La sperimentazioni clinica dei medicinali in Italia targato AIFA. I dati più aggiornati saranno pronti in autunno, ma "possiamo anticipare che il numero delle sperimentazioni è in ulteriore aumento", afferma Sandra Petraglia, direttore Ufficio Ricerca e Sperimentazione Clinica dell'AIFA.
Un piccolo miracolo italiano, che però non basta. Perché è anche dalla ricerca clinica che dipende il buon funzionamento della sanità e la possibilità di essere curati al meglio. Ai pazienti che entrano in una sperimentazione viene offerto un trattamento che altrimenti non avrebbero. E le strutture che le ospitano ottengono finanziamenti per condurle al meglio. Eppure, non tutti gli ospedali sembrano saper cogliere appieno l'opportunità. "Mancano i medici-ricercatori. Oggi si lascia molto meno spazio alla libera intraprendenza e i giovani non fanno esperienza di ricerca", spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e uno dei ricercatori più citati al mondo. A mancare sono poi i soldi, soprattutto quelli pubblici. In Italia la maggior parte degli studi clinici è in campo oncologico ed è finanziata da aziende farmaceutiche. "Il sistema della ricerca deve camminare su due gambe, quella pubblica e la privata. Con la prima possiamo verificare ipotesi indipendenti, con la seconda ottenere per i pazienti farmaci innovativi", commenta ancora Mantovani .
In assenza di finanziamenti pubblici, il lavoro dei ricercatori è tutto nelle mani delle aziende. Che spesso decidono di puntare sull'Italia e sul suo potenziale di innovazioni in oncologia, ematologia, dermatologia, reumatologia perché i ricercatori sono tra i più bravi (...).
E qui sta la nota dolente. Da decenni la spinta a sperimentare nuovi farmaci nelle primissime fasi di sperimentazione è frenata dal cumulo di lacci burocratici, eppure i centri che portano avanti questi studi iniziali sono quelli dove poi le aziende investiranno di più perché è lì che si saranno formati i medici che conoscono meglio una specifica molecola. In altre parole, saranno quelli i centri che potranno arruolare un numero maggiore di pazienti e riceveranno per primi i farmaci. Che cresca quindi anche questo numero è un'ulteriore dimostrazione del fatto che anche in Italia è possibile fare innovazione.
Articolo tratto da La Repubblica (Wel/ Dire)