Roma, 30 mar. - Il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio, siccome annoverabile tra quelli restrittivi della libertà personale, ha carattere decisorio e incide su diritti soggettivi dell'interessato. Tale attitudine a incidere su fondamentali diritti della persona difesi dalla Costituzione quali quello alla libertà personale (articolo 13), alla libertà di circolazione (articolo 16) e alla libertà di accettazione dei trattamenti sanitari (articolo 32) non implica di per sé che, ove pure il provvedimento dispositivo venga annullato, il destinatario sia esonerato dal dimostrare l'esistenza di un danno ingiusto come conseguenza del trattamento subito. Il primo e principale tra i danni astrattamente derivabili dal Tso è proprio quello conseguente all'uso coatto di farmaci. Se successivamente l'interessato accetta di protrarre il trattamento, oltre i limiti imposti dalla legge, manifesta in modo lampante e inoppugnabile che egli stesso ha escluso l'esistenza di tale danno. Questa è l'opinione, destinata a fare scuola, espressa nella sentenza della terza sezione della Corte di Cassazione civile 3900/2016, pubblicata il 29 febbraio, nel respingere il ricorso del paziente.
Il fatto. Il cittadino convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, il ministero dell'Interno, un'Usl Veneta, il Sindaco del suo paese, il medico di base che propose il ricovero, il medico del servizio pubblico che lo confermò e il ministero della Salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al trattamento sanitario obbligatorio che gli era stato praticato.
A sostegno della domanda addusse che il citato trattamento lo aveva privato dei diritti fondamentali della persona, ledendo la sua dignità e impedendogli la realizzazione di un rapporto di collaborazione per lo sviluppo di un brevetto industriale e la sua immagine nei confronti dei consociati che lo consideravano "matto". Nelle more, il provvedimento venne annullato dal Tribunale in quanto i due medici aveva omesso la visita medica, con conseguente omissione d'atti d'ufficio e nullità dell'intero procedimento. Ciononostante, aveva accettato di farsi curare accettando il ricovero ospedaliero e proseguendolo oltre il termine previsto dalla legge.
Il provvedimento amministrativo che dispose il Tso venne annullato dal Tribunale per violazione del procedimento, in quanto il medico di famiglia si era limitato a confermare la sindrome bipolare aggravata dall'abuso di sostanze alcooliche e da comportamenti aggressivi e intimidatori che sintomi si erano aggravati "sino a culminare in un episodio in cui, armato, cercava la moglie e le figlie minacciando di ucciderle".
Era emerso, invece, che il medico non vedeva il paziente da molto tempo e non l'aveva visto neppure nella circostanza del ricovero. Anche il medico ospedaliero che convalidò il trattamento non esaminò il paziente e di tutta la procedura è risultata legittima. La visita medica è un aspetto fondamentale della procedura e la giurisprudenza penale ha ribadito, più volte, la necessità dell'esame diretto del paziente destinatario del trattamento sanitario obbligatorio.
In primo grado il Tribunale accolse la domanda e condannò le parti in solido al pagamento della somma di euro 100mila, a titolo di risarcimento danni, nonché alla rifusione delle spese di giudizio, pronuncia ribaltata dalla Corte d'appello di Venezia rigettò la domanda risarcitoria del paziente.
Secondo la Corte d'appello, anche se il Tso era stato annullato, il paziente avendo poi accettato il prolungamento della terapia fino al completamento del piano terapeutico aveva accettato anche la conseguente terapia farmacologica, conseguentemente non poteva essere risarcito il lamentato danno "si uso di medicinali durante la degenza obbligatoria che, poi, egli accettava di continuare".
Una volta escluso tale danno, ogni altro danno deve essere dimostrato dal paziente. Ciò vale, in particolare, in riferimento al danno derivante dalla notorietà della vicenda. Anche a questo proposito non possono ritenersi sufficienti, affermano i giudici, generiche affermazioni "di essere stato trattato come un matto e che continua a portarsi dietro la patente di matto", ma devono essere supportate da prove che devono essere date dal cittadino. Articolo tratto da Il Sole 24 Ore Sanità (Wel/ Dire)