Roma, 24 mar. - Non sussiste oggi colpa medica se i macchinari utilizzati in epoche precedenti non fornivano certezze. In virtù dell'obbligo protettivo verso il paziente, la struttura e il medico devono indirizzare lo stesso verso un centro medico più attrezzato, quando è evidente che le tecnologie utilizzate sono tali da non permettere con sicurezza l'accertamento della patologia. Il medico è sempre tenuto ad avvisare il paziente dell'inadeguatezza degli strumenti diagnostici dei quali dispone, così da non determinare l'insorgere di un incolpevole affidamento sulla sicura bontà dell'esame strumentale eseguito. Il principio enunciato non impone, sempre e comunque, al sanitario che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione che sa essere equivalenti a quelli di altre strutture, di indirizzare il paziente altrove, se ciò fosse, quest'obbligo, sarebbe un "invito di stile" e una spinta verso la ripetizione generalizzata di ogni esame clinico.
Con questa motivazione la terza sezione della Cassazione civile n. 4540/2016, emessa l'8 marzo scorso dopo ben 18 anni di giudizio, ha respinto la richiesta di risarcimento del danno proposta da una paziente sassarese che, a causa dell'omessa informazione sull'esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, non rilevate nel corso degli accertamenti ecografici eseguiti alla 19a e alla 25a settimana di gestazione, non aveva potuto esercitare il diritto d'aborto.
I giudici hanno considerato del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi all'epoca dei fatti (1986) dipendesse dalla mancata visione degli arti nella loro interezza piuttosto che dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili che, come accertato in base alla espletata Ctu collegiale: "non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all'interruzione della gravidanza" a prescindere dal luogo di esecuzione. Se ciò fosse, l'obbligo si risolverebbe "tout court nell'obbligo di ciascun ecografista (che è di per sé medico specialista) di rinviare sempre a un centro maggiormente specializzato, con la conseguenza dell'inutilità dei protocolli ordinari di pratica medica".
In tema di controlli ecografici sul feto, ricorda la Cassazione, tale obbligo sorge, anzitutto, in ragione dell'esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all'uopo adeguate, così da ingenerare nella paziente l'affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo.
Si tratta di inadempimento legato a deficit organizzativi della struttura sanitaria, la quale, infatti, è obbligata, proprio in base al citato contratto di spedalità, a mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza essa struttura, inadempiente ex articolo 1218 del codice civile, risponde in modo esclusivo (cfr., tra le tante, Cassazione, sezioni unite, 1° luglio 2002, n. 9556; Cassazione, 26 gennaio 2006, n. 1698), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che, diligentemente e in modo perito secondo le leges artis, sia intervenuto sul paziente (Cassazione, 11 maggio 2009, n. 10743).
Articolo tratto da Il Sole 24 Ore Sanità (Wel/ Dire)