Roma, 9 mar. - È illegittimo l'accertamento fondato esclusivamente sugli studi di settore e privo di qualunque riferimento alla reale situazione dell'attività svolta dal professionista. Inoltre, la capacità contributiva non può essere desunta dagli importi che un soggetto, in base a una sentenza civile, deve versare ai propri familiari a titolo di mantenimento. Lo sostiene la Ctr Lombardia (presidente Craveia, relatore Crespi) nella sentenza 4316/2015.
La controversia scaturisce dall'impugnazione di un avviso, con cui l'agenzia delle Entrate, applicando gli studi di settore, aveva accertato maggiori ricavi di un medico specialista per quasi 40mila euro. La Ctp aveva accolto il ricorso e annullato l'atto. Così le Entrate hanno presentato appello, sostenendo che i giudici di primo grado avessero valutato solo la documentazione prodotta dal ricorrente. Secondo l'amministrazione, la maggior capacità contributiva del medico si poteva ricavare dal fatto che, in una causa di separazione, il Tribunale aveva posto a carico del sanitario la somma di 2.200 euro per il mantenimento della moglie e della figlia; ciò, in particolare, perché si era tenuto conto dell'attività di otorino e di libero professionista svolta dal ricorrente. L'Agenzia ha inoltre affermato che, nel 2007, il medico aveva emesso ricevute fiscali tutti i giorni della settimana (compreso il sabato), e che l'attività professionale si prestava a occultare visite non fatturate. Ha quindi chiesto la riforma della sentenza di primo grado, sostenendo che gli studi di settore applicati fossero congrui rispetto all'attività svolta dal contribuente.
Dal canto suo, l'appellato ha dedotto di svolgere attività di libero professionista e non d'impresa, aggiungendo che l'Agenzia non aveva dato alcun rilievo alla documentazione da lui esibita. Nel respingere l'impugnazione, la Commissione di secondo grado afferma che l'ufficio ha "emesso un avviso sulla base dei soli studi di settore" e senza "alcun riscontro della situazione reale dell'attività professionale svolta dal contribuente". L'amministrazione - prosegue la Ctr - desume elementi di maggiore capacità contributiva dalla sentenza pronunciata in un giudizio di separazione. Tuttavia, le considerazioni effettuate dal giudice ordinario non possono essere utilizzate automaticamente in ambito fiscale: infatti, la decisione del Tribunale non è ancorata alle dichiarazioni dei redditi del ricorrente, ma è fondata, piuttosto, sulla "valutazione delle prestazioni rese o che dovevano essere rese" dal contribuente presso alcune strutture di cura e nel proprio studio. Peraltro - si legge nella sentenza -, "l'ufficio ipotizza ricavi "in nero"" derivanti dall'attività svolta nello studio del medico, e tuttavia afferma poi "che tale attività è marginale rispetto alle prestazioni rese presso diversi istituti di cura" esistenti sul territorio. Infine, le visite effettuate dal sanitario presso il proprio studio si svolgevano "senza particolari strumenti diagnostici".
Ragioni, queste, che giustificano la conferma della sentenza di primo grado e la condanna dell'amministrazione al pagamento delle spese del giudizio d'appello, liquidate in duemila euro.
Articolo tratto da Sole 24 Ore Sanità (Wel/ Dire)