(DIRE) Roma, 10 giu. - "Sconfiggere l'AIDS è possibile solo superando le barriere della criminalizzazione, dello stigma e della discriminazione che ancora oggi restano gli elementi chiave dell'epidemia tra le popolazioni più a rischio". Come inviato delle Nazioni Unite per HIV ed AIDS, il professor Micheal Kazatchkine è intervenuto durante l'ottava edizione di ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), con una lettura sui risultati ottenuti in Europa nella lotta contro l'HIV, punta il dito contro la debole e diseguale risposta data dai governi europei in termini di sorveglianza, di screening, di strategie efficaci.
IL CONGRESSO - L'ottava edizione di ICAR (Italian Conference of AIDS and Antiviral Research), che si è conclusa a Milano, presso l'Università Milano Bicocca. Il congresso è stato presieduto dai professori Andrea Gori, (Monza), Adriano Lazzarin, (Milano), e Franco Maggiolo, (Bergamo): oltre 150 gli scienziati e i ricercatori presenti, dall'Italia e dall'estero, e mille gli specialisti. ICAR è organizzata sotto l'egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, L'OBIETTIVO "90-90-90" - "Agli ambiziosi obiettivi prefissati da UNAIDS per il 2020 "90-90-90" ("90% testati-90% dei diagnosticati in trattamento, 90% dei trattati in virosoppressione") è assai difficile che giungano insieme tutti i paesi europei - spiega il Prof. Kazatchkine - la cascade of care svizzera ci mostra che il 68% dei pazienti trattati ottiene la virosoppressione, mentre in Russia questa percentuale è del 9%. L'Europa è divisa in tre: in Europa Est l'epidemia è in espansione, sotto la pressione della tossicodipendenza e con una forte componente di crescita legata alla trasmissione eterosessuale, ma con un basso accesso alle terapie (la copertura è del 35% nelle popolazioni a maggior rischio) e nessun accesso a strategie di prevenzione o di riduzione del danno. In queste regioni persistono ostacoli strutturali socioculturali e politici, dovuti agli alti livelli di stigma e di discriminazione, e la cooperazione tra organismi istituzionali e non è inesistente. Altissimi (90%) i tassi di coinfezione con HCV e di coinfezione con tubercolosi e tubercolosi multiresistente. In Ucraina mancano le infrastrutture, i reagenti per gli esami diagnostici, le terapie sono assicurate solo fino al prossimo agosto...".
L'EUROPA CENTRALE - C'è poi l' Europa Centrale dove, malgrado una bassa prevalenza, l'incidenza di HIV è raddoppiata o triplicata, concentrata in gruppi a rischio come gli MSM e i tossicodipendenti; a fronte di recenti picchi epidemici, come in Romania e in Grecia, oltre il 50% delle diagnosi è in fase tardiva, il Global Fund sta riducendo gli investimenti (come in Romania), alcuni governi non si fanno carico di programmi mirati alle popolazioni. In questi paesi, come in quelli a basso reddito, HIV è fortemente legato alla povertà.
EUROPA OCCIDENTALE - Nell'Europa occidentale, malgrado la riduzione del numero di nuove infezioni negli ultimi dieci anni da 7.9 a 6.3/100.000 abitanti, la trasmissione è aumentata di oltre il 30% tra gli MSM (oggi 44% del totale), mentre tra gli eterosessuali si è ridotta. Tutti i paesi occidentali hanno ottenuto la soppressione virologica nel 50% dei trattati, ma nessuno invece nel 2013 ha potuto raggiungere l'obiettivo finale del 73% di soppressione virologica. Ma anche questa Europa deve fare ancora molto: migliorare l'accesso al test, ai programmi di prevenzione, alla PrEP e di sorveglianza nei gruppi a rischio, combattere in molti paesi stigma e discriminazione, promuovere collaborazione e integrazione di ricercatori, attivisti, servizi, strutture. L'analisi di Kazatchkine delle debolezze europee è legata ai gap nei sistemi di sorveglianza, estremamente preoccupante è la frequenza di test tra MSM, troppo bassa per intercettare le infezioni più recenti e quindi per interrompere la trasmissione. I casi di HIV attribuibili alla tossicodipendenza si sono ridotti del 36% tranne in alcuni paesi dell'Europa Est. Inoltre, il 25% di tutte le diagnosi viene posta in persone che provengono da altri paesi. Oggi, in tanti paesi dell'Europa Est il numero di nuove diagnosi è molto superiore al numero di persone che iniziano la terapia, alcune linee guida nazionali restringono ancora l'inizio della terapia ai soggetti con CD4 < 350 cellule/mmc, i tassi di diagnosi e di "retention in care" sono bassissimi, la copertura terapeutica è intorno al 35%, in Russia solo il 12% delle persone con HIV viene trattato. Le persone non si rivolgono ai servizi a causa dello stigma e della politica di criminalizzazione nei confronti delle tossicodipendenze. Ma anche le comunità a rischio sono divise, ricevono poche informazioni, è scarsa la consapevolezza sui progressi terapeutici più recenti, sulla normale aspettativa di vita di chi è in terapia, sull'impatto della riduzione della trasmissione.
IN ITALIA - Nel nostro Paese il mantenimento del paziente con HIV all'interno del percorso di cura dopo il test viene seguito in modo molto stretto poiché non solo per l'importanza della virosoppressione (cioè la discesa dei livelli di HIV-RNA al di sotto delle 50 copie/ml) come traguardo clinico, ma anche perché si tratta di uno strumento molto utile per valutare la qualità dell'assistenza, ed eventualmente migliorarla. Quest'anno ad ICAR i nuovi dati, i primi ottenuti a livello nazionale, della "cascade of care" (letteralmente, la "cascata assistenziale") suggeriscono che l'Italia è molto vicina ai traguardi prefissati da UNAIDS ("90% testati-90% dei diagnosticati in trattamento, 90% dei trattati in virosoppressione"), perlomeno ai primi due. La collaborazione tra il Sistema di Sorveglianza italiano e la coorte ICONA (la più importante raccolta italiana di dati sui pazienti con HIV e coinfezione HIV/HCV che iniziano le terapie) ha prodotto una prima descrizione nazionale: nel 2014 le persone sieropositive erano 134.000, di queste solo 14.000 (11%) ancora non erano state diagnosticate, mentre 18.000 erano state diagnosticate ma non "agganciati alla cura" e 102.000 diagnosticate e trattate. Dall'insieme di questi dati viene una stima del 74% di pazienti in trattamento e del 52% di virosoppressione. Un'ulteriore conferma del valore della Rete Infettivologica italiana e della qualità dell'assistenza.
(Wel/ Dire)