Roma, 11 gen. - Articolo tratto da "Il Corriere della Sera". Fino allo scorso anno sembrava un'impresa titanica. Invece il Lazio ce l'ha fatta. È una delle sei regioni italiane (con Marche, Puglia, Veneto, Liguria e Friuli) che hanno raggiunto l'obiettivo di chiudere i centri di Ostetricia con un numero di parti all'anno inferiore a cinquecento. È il limite di sicurezza stabilito dal Ministero della Salute. Al di sotto di questo paletto la struttura non viene ritenuta capace di garantire adeguata assistenza alla mamma e al bambino anche se si tratta di una gravidanza normale e meno esposta al rischio di complicanze. La "promozione" è certificata dal Comitato Percorso Nascita nazionale, una compagine di esperti che a fine 2015 hanno presentato il rapporto definitivo con le prestazioni delle unità di ostetricia pubbliche e private accreditate.
Nel corso del 2015, la Regione ha provveduto a fermare l'attività delle ultime quattro maternità non in linea con questi standard a Monterotondo (attività trasferita a quella di Tivoli), Colleferro (emigrata a Palestrina), Tarquinia (le mamme oggi vengono ricoverate a Civitavecchia) e Alatri (che ha come riferimento Frosinone).
Un risultato sofferto. Le chiusure sono previste da un accordo tra ministero e Regioni sottoscritto nel 2010. E a forza di deroghe si è arrivati al traguardo cinque anni dopo. Non è facile convincere amministratori locali e cittadini che togliere la maternità sotto casa non è uno scippo ma un vantaggio dal punto di vista della sicurezza. Più il personale è allenato, meno rischi ci sono per chi si affida alle loro mani.
Guardiamo quello che sta accadendo in Sicilia dove è in atto una rivolta dei sindaci perché deve essere soppressa l'ostetricia di Petralia Sottana, nella zona delle Madonie, 120 parti all'anno. Nel Lazio sono 38 i punti nascita censiti dal ministero. A questi bisogna sottrarre i quattro centri trasferiti e la clinica Villa Pia, che nel 2014 ha perso l'accreditamento col servizio sanitario e ora continua a svolgere attività ostetrica privata.
Per Domenico Di Lallo, dirigente dell'area rete ospedaliera del Lazio, "questa iniziativa nazionale fa capire quanto sia importante la scelta del luogo in cui partorire. Un centro di ostetricia, oltre che per il numero di parti annui, è di buon livello se è in grado di garantire la presenza 24 ore su 24 di ginecologo, pediatra o neonatologo, anestesista e ostetrica, figure che sono presenti in tutte le strutture promosse dal ministero".
A Roma l'ospedale col maggior numero di fiocchi rosa e azzurri è il San Pietro Fatebenefratelli con 4.340, seguito da Fatebenefratelli Isola Tiberina (3.999), quindi da Policlinico Gemelli 3.720, San Camillo 2.946, Casilino (2,126), Cristo Re (1953), Grassi di Ostia (1875), Santa Famiglia e Fabia Mater (1866), Policlinico Umberto I (1736). È fondamentale che la donna sia consapevole dell'importanza di scegliere bene dove vivere il momento di felicità, dando la precedenza a criteri di affidabilità della struttura e dell'ostetrico da cui verrà seguita e mettendo in secondo piano il confort alberghiero.
Il tema della maternità in sicurezza è venuto alla ribalta in questi giorni per le morti di quattro donne con i loro bambini avvenute a Torino, Bassano del Grappa, San Bonifacio-Verona e Brescia.
La relazione preliminare degli ispettori del ministero sembra aver assolto le quattro strutture: non sarebbero responsabili di quelle disgrazie, legate nel caso torinese all'abnorme sovrappeso della puerpera (42 chilogrammi oltre) e, nelle altre tre situazioni, ad un'infezione batterica contratta prima del ricovero. Si tratta di eventi rari, 10 ogni 100mila neonati in base alle statistiche. Nel Lazio nel 2014 si sono riempite circa 55mila culle. Da tre anni non vengono segnalati casi di mortalità materna.
(Wel/Dire)