(DIRE) Roma, 25 giu. - "Le malattie croniche infiammatorie intestinali (Mici), ovvero il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, possono determinare un maggior rischio di osteoporosi e quindi di fratture ossee. 'Questo aspetto e' spesso misconosciuto e sottovalutato- spiega il prof. Vincenzo Bruzzese, Presidente Nazionale della Sigr- l'osteoporosi e' una patologia subdola che si evidenzia con l'avvento indesiderato di una frattura ossea'. I processi infiammatori cronici sia di tipo reumatico come l'Artrite Reumatoide ma anche di tipo intestinale come il Morbo di Crohn si possono complicare con un quadro conclamato di osteoporosi. Molte le cause, in primis l'infiammazione stessa, mediata da sostanze chiamate 'citochine' in particolare il Tumor Necrosis Factor (Tnf) e l'Interleukina 6 (IL6), puo' determinare uno squilibrio a carico del metabolismo osseo. Inoltre l'uso cronico di cortisone puo' portare ad una alterazione della struttura ossea anche severa. Il Tnf e L'IL6 agiscono attivando un'altra citochina, denominata Rankl, che a sua volta, determina una piu' veloce maturazione degli osteoclasti, le cellule deputate al riassorbimento osseo".
'I pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali sono ad elevato rischio di osteoporosi per la presenza di piu' fattori di rischio concorrenti- racconta il gastroenterologo prof. Piero Vernia del Dipartimento di Medicina Interna all'Universita' di Roma La Sapienza- La cronicita' delle malattie comporta l'esposizione per tempi prolungati ad elevate concentrazioni di citochine pro-infiammatorie, che svolgono di per se' una azione negativa sul metabolismo osseo. Secondo fattore negativo e' il frequente e prolungato uso di farmaci cortisonici, che notoriamente aggravano il problema, in quanto influisce negativamente sull'attivita' degli osteoblasti, le cellule che formano le ossa, mentre rimangono attivi gli osteoclasti, responsabili del riassorbimento dello scheletro.
Altro fattore aggiuntivo e' dato da una dieta povera di latte e latticini, che rappresentano la principale fonte dietetica di calcio'. Cosi' in un comunicato la Sigr, Societa' italiana di Gastroreumatologia.
"Proprio la carenza di calcio dovuta alla scarsa assunzione di latticini e' un elemento fondante della epidemica diffusione di ossa fragili nei pazienti con Malattie Croniche Infiammatorie che eliminano latte e derivati nel tentativo di diminuire alcuni sintomi. 'Uno studio italiano pubblicato sul Journal Crohn's Colitis del 2013 su un gruppo di circa 200 pazienti ha mostrato come almeno un terzo di pazienti, in particolare donne, con malattie infiammatorie croniche riceva un apporto inadeguato di calcio dalla dieta che li rende a rischio di osteopenia, condizione reversibile con adeguate strategie correttive come la supplementazione', aggiunge Vernia.
Questo dato e' stato confermato da una ricerca condotta presso il Dipartimento di Scienze della Nutrizione dell'Universita' di Bahia, in Brasile che ha valutato l'assunzione di latticini da parte di pazienti con Mici rilevando che il 64,7% li elimina in tutto o in parte dalla dieta quotidiana, percentuale che raggiunge quasi il 100% nei pazienti con Crohn. In dettaglio: il 52,3% ha cambiato abitudini alimentari dopo la diagnosi, il 64,7% ha sostituito in parte il latte di mucca con quello di soia con la conseguenza che il 90,8% dei pazienti presi in esame nello studio ha un apporto di calcio dalla dieta, insufficiente e inadeguato.
Si aggiunge a questa situazione gia' critica, il fatto che in alcune patologie intestinali e' proprio l'intestino tenue a perdere la capacita' di assorbimento del prezioso minerale.
Inoltre, pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali tendono ad avere una ridotta esposizione al sole, con la conseguenza di un'inadeguata produzione della preziosa vitamina D", continua la Sigr.
"'Ecco allora che questi pazienti devono essere valutati nella globalita' e non solo nelle patologie presenti- spiega Bruzzese- cosi' da prevenire l'insorgenza di problemi medici che possano peggiorare ulteriormente la vita di questi soggetti.
L'identificazione dei fattori di rischio, la loro precoce correzione possono consentire di ridurre il rischio di osteoporosi o almeno di iniziare precocemente un trattamento adeguato. In particolare uno studio del 2014 pubblicato sull'American Journal of Gastroenterology ha mostrato come l'aderenza dei pazienti con colite ulcerosa in trattamento con cortisone allo screening della densita' ossea aveva come effetto la diminuzione del 50% del rischio di fratture. La ricerca e' stata condotta su oltre 5700 pazienti seguiti per un periodo di follow up di 10 anni, dal 2001 al 2011'.
Cosa fare allora? Il professor Vernia sottolinea che in questi casi occorre eseguire uno screening per valutare la salute delle ossa e l'opportunita' di ricorrere ad una supplementazione di calcio e di vitamina D, attraverso una Moc (mineralometria ossea computerizzata) soprattutto nei soggetti in trattamento con corticosteroidi. La supplementazione con vitamina D puo' non solo prevenire la degenerazione ossea ma migliorare il quadro clinico delle Mici grazie alle proprieta' immunomodulanti proprie di questa molecola", conclude la Sigr.
(Comunicati/Dire)