Roma, 17 set. - Articolo tratto da "Il Corriere della Sera". Il cervello umano, in alcuni casi, sarebbe in grado di fronteggiare, per lo meno nelle prime fasi, il danno funzionale e progressivo che caratterizza il morbo di Alzheimer. Talvolta la prima risposta dell'organismo al comparire della malattia è infatti un'iperattività a livello cerebrale, come se il cervello riconoscesse una propria carenza e vi sopperisse aumentando la propria attività.
Accumuli di beta-amiloide. Alcuni ricercatori della University of California hanno avuto a disposizione 71 volontari (22 giovani adulti e 49 in età più avanzata), tutti in buona salute e senza alcun segno di declino mentale. I partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI) in modo da monitorare l'attività cerebrale, mentre veniva loro richiesto di memorizzare alcune immagini. La scannerizzazione cerebrale ha evidenziato che 16 dei volontari presentavano depositi cerebrali di un particolare tipo di proteina, la beta-amiloide, la cui presenza viene considerata una delle probabili cause e il segno distintivo dell'Alzheimer. Questa proteina, infatti, si deposita tra i neuroni e, agendo come una specie di collante, li danneggia progressivamente. Nel corso del test è stato chiesto ai partecipanti di rievocare le immagini viste, dapprima in modo da sintetizzarne il senso e poi scendendo nei particolari. Il risultato delle capacità mnemoniche dei due gruppi è stato pressoché identico, salvo per la maggiore attività cerebrale di coloro che presentavano accumuli di beta-amiloide al momento di ricordare i dettagli delle immagini. Secondo i ricercatori questo testimonierebbe la capacità di adattamento e di compensazione del reazione del cervello umano ai primissimi danni causati dalla malattia.
Differenze tra pazienti. È bene sottolineare che gli stessi autori della ricerca sostengono la necessità di ulteriori e approfonditi studi. Il punto nodale è comprendere per quanto tempo il nostro cervello sia in grado di aggirare il deficit, semplicemente aumentando i propri carichi di lavoro. Questo consentirebbe di capire anche perché esistono pazienti che passano dai primi sintomi alla malattia conclamata in breve tempo. Infine è interesse dei ricercatori riuscire a individuare le ragioni per le quali, tra persone con lo stesso livello di accumuli di beta-amiloide, alcune sono maggiormente in grado di utilizzare altre aree cerebrali per sopperire a quelle danneggiate dall'incedere della malattia.
(Cds/ Dire)