Roma, 14 ott. - Articolo tratto da "Il Messaggero". L'OSPEDALE. Quando un cittadino malese di 30 anni domenica, prima di mezzogiorno è arrivato in ambulanza al pronto soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, "scaricato" da un treno Italo in arrivo da Milano come caso di "sospetta Ebola", c'è chi giura che gli infermieri hanno fatto la conta prima di avvicinarsi al paziente. È rimasto per lungo tempo su una barella finché un'infermiera, la più coraggiosa, ha rotto gli indugi e ha cominciato ad operare. C'è stata la corsa a prendere occhiali e mascherine. Ma mancavano i dispositivi di protezione individuale più elevata, quelli di livello 3, per intenderci, i camici idrorepellenti con i copricapo da indossare in presenza di sintomi evidenti ("ma arriveranno nell'arco di un paio di giorni", assicurano dall'ospedale). Non solo, lo straniero non parlava una parola di italiano, né di inglese ecco perché si è perso tempo prezioso prima di accertare che si trattasse dell'ennesimo falso allarme Ebola nella Capitale: il paziente era da mesi in Italia e non aveva avuto contatti con persone infette. Di paure non fondate se ne contano ormai decine ogni giorno in tutt'Italia, nel Lazio finora sono un centinaio. Tutte esercitazioni improvvise, non volute, sperando che non arrivi mai la prima vera prova generale. A Roma, oltre all'Umberto I c'è anche il Policlinico Gemelli deputato a hub per i sospetti casi di Ebola. Solo in un momento successivo, quando la minaccia si fa più concreta, il paziente viene portato allo Spallanzani, l'istituto per le malattie infettive che è anche un riferimento europeo. All'Umberto I ogni giorno arrivano una media di 200 pazienti, ieri l'accettazione era piena zeppa come sempre, con malati (non gravi) in attesa da ore. "Dovremmo fare esercitazioni e addestramento- aggiunge Claudio Modini, direttore del Dea- ma è logico che, dati i numeri, siamo molto sotto pressione. Abbiamo professionalità elevate, anche se alcuni dei medici più esperti sono incredibilmente precari da anni, e il livello assistenziale è ottimo. Standard che è stato rispettato anche domenica".
L'APPELLO. I medici dello Spes, il Sindacato dei professionisti dell'emergenza sanitaria, lanciano un appello e definiscono alcune criticità per mettere a punto nel migliore dei modi il sistema di gestione dell'emergenza Ebola. "Ai colleghi diciamo di segnalarci eventuali carenze o situazioni a rischio, perché un domani non ci si venga a parlare di errori umani- spiega il segretario nazionale Massimo Magnanti-. Le indicazioni del ministero della Salute sulle procedure da adottare sono chiare e sono state diffuse attraverso le Regioni. Come operatori dell'emergenza ci aspettiamo che tutti i pronto soccorso siano dotati dalle rispettive direzioni dei presidi di protezione individuale previsti. Anzi, abbiamo avviato un'indagine in queste ore proprio per capire a che punto sono formazione, percorsi e dotazioni". I nodi: "La mancanza di mediatori culturali nei pronto soccorso è fondamentale per l'anamnesi iniziale- dice Magnanti- poi c'è il sovraffollamento degli ospedali romani: chiediamo ai direttori generali di applicare i provvedimenti di contrasto al sovraffollamento emanate a novembre dalla Regione e tuttora scarsamente recepite. Infine, servono addestramenti pratici, ad esempio, come si toglie una tuta potenzialmente infetta?".
PERCORSI DEDICATI. All'Umberto I il direttore generale Domenico Alessio anticipa: "Stiamo studiando una soluzione che sgravi il Dea da questa ma anche da altre emergenze. Creeremo un pronto soccorso ad hoc presso il padiglione di Malattie infettive, dove ora è il day hospital. In questo modo potremo formare personale ad hoc, senza pressare gli operatori del pronto soccorso. Posso comprendere i loro timori, ma con la Regione stiamo facendo il possibile per intervenire".
(Cds/ Dire)