Roma, 6 nov. - "Il rischio contagio in Italia e' bassissimo ma non del tutto assente; in realta' il pericolo non sono i migranti che raggiungono le nostre coste con i barconi, perche' la durata del viaggio in questi casi e' superiore ai 21 giorni, durata massima del periodo di incubazione del virus. Se arrivera' qualche caso in Italia, e' prevedibile che si trattera' di cooperanti, missionari o lavoratori provenienti dai paesi affetti dell'Africa occidentale, esclusivamente tramite viaggi in aereo". A fare chiarezza sulla diffusione dell'Ebola e' Maria Capobianchi, direttore del Laboratorio di virologia dell'Istituto nazionale malattie infettive "Lazzaro Spallanzani" di Roma e membro del consiglio direttivo Amcli (Associazione microbiologi clinici italiani), che in questi giorni tiene un congresso nel quale si dibatte anche e soprattutto del virus che sinora, stando agli ultimi aggiornamenti dell'Oms, ha fatto quasi 5 mila vittime, quasi tutte in Africa e quasi la meta' solo in Liberia.
Lo Spallanzani, che e' sede del laboratorio di riferimento nazionale per la diagnosi di Ebola, partecipa alle attivita' di due unita' di Laboratorio mobile dislocate, su richiesta dell'Organizzazione mondiale della sanita': il progetto, finanziato interamente dall'Ue, vede la partecipazione del team italiano gia' da marzo in Guineae da settembre in Liberia, sempre all'interno di un campus di Medici senza frontiere. Prossimamente sara' allestito un laboratorio mobile anche in Sierra Leone, che e' il secondo paese per decessi dopo la Liberia e vive una vera e propria emergenza sanitaria: nel 2010 infatti si contavano appena due medici ogni 100 mila persone (negli Usa, per esempio, erano 240 per ogni 100 mila). "Questi sono i tre paesi dove Ebola e' piu' diffuso - spiega ancora la dottoressa Capobianchi, che completa la mappa dell'emergenza nel continente nero - mentre in Nigeria, dove ci sono stati 20 casi (di cui 8 mortali, ndr) e' stato ufficialmente debellato. C'e' stato un caso, non mortale, in Senegal, mentre il primo decesso in Mali potrebbe far pensare a un nuovo paese a rischio".
Dipende tutto dall'isolamento e dal rintracciamento dei contatti, aspetti decisivi nel contrastare una malattia che presenta i sintomi di una forte influenza con febbre solitamente superiore ai 38,5 gradi e prevalenza di problemi gastrointestinali e che si trasmette, come spiega tecnicamente l'esperta italiana, "attraverso contatto con i fluidi corporei che contengono il virus. Le misure di protezione consigliate sono quelle da contatto e da droplet, ovvero goccioline, per proteggersi dal virus contenuto nei liquidi biologici e nelle goccioline di aerosol emesse, ad esempio, con un semplice colpo di tosse dalle persone infette".
Tenere a bada il virus puo' dunque essere relativamente semplice nei paesi occidentali, come l'Europa, che possono contare su strutture attrezzate e pochi casi da trattare, ma non avviene lo stesso in Africa, "dove persino le pratiche dei funerali possono causare ulteriori contagi. Infatti in Africa i laboratori sono impegnati non solo nella diagnosi sui malati, ma anche sulle persone decedute, per impedire che i cadaveri siano trattati secondo le pratiche adottate nei riti funebri locali, che comportano esposizioni massicce dei parenti al virus". Questo ha fatto si' che i casi accertati siano stati al momento poco meno di 14mila, di cui un terzo risulta essere stato letale.
"In realta' - spiega Capobianchi - il totale dei casi e' sottostimato, perche' possiamo avere una mappatura esatta delle morti ma non dei contagi. Quindi la mortalita' puo' scendere fino al 25%, anche se mediamente oscilla intorno al 50%, facendo la media con situazioni in cui va oltre". Come in Guinea, dove su 1.667 casi accertati, piu' di mille sono stati mortali: il 62,5%.
Mortalita' che, come ricorda l'Unicef, apre anche il dramma dei bambini: circa 4mila sono quelli diventati orfani a seguito della malattia, ma in totale i bambini colpiti indirettamente dall'epidemia ("circondati dalla morte", dice l'organizzazione internazionale) sono 5 milioni. "Le scuole sono chiuse, i bambini sono confinati nelle loro case e scoraggiati a giocare con gli altri bambini", ha spiegato Peter Salama, coordinatore globale dell'emergenza ebola per Unicef: "Oltre a quelli orfani, molti piu' bambini vengono allontanati per la loro protezione in centri di quarantena senza sapere se i loro genitori sono vivi o morti".
L'epicentro del pericolo resta dunque l'Africa, da dove arrivano anche i 19 casi trattati fuori dal continente: "Sono tutti casi di persone diagnosticate in loco e poi rimpatriate per farsi curare, tranne una manciata di casi di contagio autoctono, come quelli del personale ospedaliero negli Usa (dove c'e' stata una vittima, ndr) e in Spagna, dove l'unica infermiera colpita e' stata isolata e salvata". "Il virus in Europa - sottolinea ancora la direttrice del laboratorio dello Spallanzani - puo' arrivarci solo tramite persone che viaggiano in aereo: dunque non con l'immigrazione irregolare di cui tanto si parla, quanto nei paesi che hanno i piu' frequenti contatti turistico-commerciali con l'Africa: per questo motivo, il paese piu' a rischio in Europa deve considerarsi la Francia".
(Cds/ Dire)