Roma, 27 gen. - Non le fu presa la temperatura. Non le fu sentito il polso, né il battito cardiaco. Non le furono verificate le capacità respiratorie, sebbene il primo referto stilato sull'ambulanza intervenuta in via Urbisaglia recasse l'indicazione che alla ragazza era stata applicata la mascherina per l'ossigeno. Dai risultati dell'autopsia effettuata su Simona Riso, la 28enne precipitata per cause ancora da accertare dal terrazzo del palazzo dove viveva, emergono nuovi dettagli che sono un atto di accusa verso i medici del pronto soccorso e della Ginecologia che la presero in carico al San Giovanni.
Sulla base degli esami affidati al consulente Giorgio Bolino, medico legale del tribunale, sono stati iscritti sul registro degli indagati dal pm Attilio Pisani e dal sostituto procuratore Pierfilippo Laviani due medici, uno del pronto soccorso e l'altro del reparto ginecologia. Entrambi sono accusati di omicidio colposo.
Soccorsa all'alba del 30 ottobre, la 28enne calabrese aveva raccontato, forse in stato di choc, di aver subìto una violenza sessuale (riferendosi probabilmente a un episodio della sua adolescenza). Dopo il passaggio al pronto soccorso Simona era rimasta poi rimasta per più di un'ora al reparto di ginecologia, dove si erano limitati ad accertare il non avvenuto stupro.
Nessuno si era accorto neanche delle fratture alle gambe e al bacino. Poche ore dopo era morta per uno pneumotorace, un accumulo di aria nel cavo pleurico, forse risolvibile con un banale drenaggio.
Esclusa l'ipotesi dell'aggressione e dunque dell'omicidio volontario sostenuto dalla famiglia - rappresentata dall'avvocato Sebastiano Russo -, l'ultimo dubbio lasciato dall'autopsia riguarda il suicidio o la caduta accidentale. Una domanda che potrebbe però restare senza risposta.
(CdS/ Dire)