Roma, 8 gen. - "Si tratta di avviare una vera e propria 'rivoluzione copernicana' che sposti sul territorio l'asse principale della strategia di tutela della salute". Lo dice Davide Faraone, responsabile Welfare del Partito democratico, intervistato dall'Adnkronos Salute.
"La grave situazione economica che si è venuta a creare nel Paese e la conseguente drastica riduzione delle risorse finanziarie disponibili- prosegue- impongono concrete economie che, intanto, possono essere immediatamente conseguite attraverso il perseguimento di un'efficienza del sistema, tanto più possibile quanto più sapremo impegnarci nel portare avanti interventi e azioni capaci di razionalizzare la spesa, riposizionando le risorse presenti. È chiaro, quindi, che non possiamo più pretendere, né garantire, ad esempio, un ospedale in ogni comunità. Ciò significa, però, riuscire a sviluppare concretamente la rete dei servizi del territorio, garantendo la medicina d'iniziativa, incentrata sui servizi primari, piuttosto che la medicina, alla quale siamo abituati, che trova nell'ospedale la struttura di riferimento per una risposta affidabile ai propri bisogni di salute".
"Bisogna, soprattutto- aggiunge Faraone- evitare che i pronto soccorso continuino a rappresentare l'unica risposta immediata di una sanità malata, ma per raggiungere questo obiettivo è necessario impegnarsi a fondo sviluppando prioritariamente la medicina delle cure primarie e della prevenzione, promuovere l'associazionismo dei medici di base, realizzare strutture e presìdi rivolti in particolare ai pazienti cronici e agli anziani che, per loro peculiare condizione, rappresentano le fasce più deboli della popolazione che, a oggi, fanno registrare il più altro tasso di ospedalizzazione e il più alto consumo di risorse sanitarie".
Per Faraone, "in questa prospettiva i piccoli ospedali non vanno né chiusi, né annullati, ma riconvertiti in strutture di accoglienza e di cura, in quelle strutture che, in un passato recente, abbiamo prefigurato come vere e proprie case della salute. D'altra parte, l'esperienza dei Paesi anglosassoni ci insegna come la chiusura degli ospedali rurali si sia tradotta in un depauperamento socioeconomico del territorio, con aumento dei tassi di disoccupazione locale e abbassamento del livello culturale e ambientale. In altri termini, la possibilità di mantenere i presìdi ospedalieri nel territorio riconvertendoli, oltre a garantire più adeguati livelli di assistenza, contribuirebbe, anche ad assicurare gli equilibri socioeconomici del territorio".
"Non occorre quindi- assicura- una strategia politica che, puntando al razionamento, tagli in maniera orizzontale e indiscriminata prestazioni e servizi, ma piuttosto c'è la necessità di porre fine agli sprechi, ancora presenti, superando le ridondanze che appesantiscono il sistema, intensificando monitoraggio e controlli, responsabilizzando gli operatori, ma anche intervenendo sulla giungla dei prezzi che talvolta nasconde truffe e ruberie. Penso, ad esempio, a quanto va denunciando il governatore della Sicilia Rosario Crocetta a proposito degli scandali riferiti a gare truccate o ad appalti gestiti in maniera disinvolta, senza alcun rispetto delle finanze pubbliche e in dispregio del pubblico interesse".
Secondo Faraone, "la prospettiva dei prossimi anni, in un clima di austera spending review, richiede, quindi, una politica che, in ambito sanitario, sappia coniugare due diverse strategie: da un lato togliere in termini di sprechi e di malaffare, dall'altro, aggiungere in termini di qualità e sicurezza dei servizi, ed efficacia ed appropriatezza delle prestazioni garantite. Come dire, in estrema sintesi: spendere meno, spendere meglio".
"Nei prossimi mesi- ricorda Faraone- il Governo si troverà a dovere garantire la sostenibilità del sistema sanitario a fronte di una drastica riduzione delle risorse, ciò significa dover necessariamente compiere delle scelte talvolta anche dolorose per la popolazione, specie per le sue fasce più deboli. Bisognerà, conseguentemente, da un lato, individuare nuove forme di finanziamento, dall'altro pensare a delineare una diversa politica di tutela della salute, una politica che sappia garantire di più a chi più ha bisogno e richiedere una partecipazione contributiva differenziata: chi più ha, più deve pagare".
"In linea di principio, quindi- evidenzia- non sono contrario all'assistenza sanitaria integrativa. D'altra parte, la normativa dei fondi integrativi prende le mosse dal Dl 421 del '92, emanato in un momento storico in cui ha cominciato a delinearsi la crisi del welfare, avvertendosi in maniera pressante l'esigenza di sperimentare percorsi alternativi e complementari. In particolare, l'obiettivo era quello di costituire un secondo livello di assistenza che riuscisse a integrare le prestazioni del sistema sanitario nazionale, senza intaccarne le peculiari caratteristiche di universalità, equità e sussidiarietà".
"È chiaro- conclude il responsabile Welfare del Pd- che i fondi integrativi, comunque, lungi da suggestioni di tipo speculativo, debbono intervenire a copertura di quelle prestazioni che non rientrano tra i Lea (livelli minimi di assistenza), continuando a rappresentare il Servizio sanitario nazionale il pilastro fondamentale per la tutela della salute dei cittadini.
Determinante, sotto questo aspetto, l'azione di controllo che dovrà essere esercitata dal ministero della Salute, cui compete la tenuta dell'anagrafe dei fondi integrativi e il loro monitoraggio".
(Cds/ Dire)