Roma, 10 feb. - Per gli standard europei sono troppi. Per il sistema assistenziale italiano troppo pochi. Dove è la verità? Come spesso accade, nel mezzo. Perché non mancano medici in senso assoluto, ma esistono professionalità indispensabili che non hanno specializzandi a sufficienza. Un esempio su tutti, il medico di famiglia che tra tre anni potrebbe mancare a circa 900 mila italiani. Se a questo si aggiunge che la spending review ha costretto a fare i conti su un diverso rapporto posti letto/abitanti (3,7 posti ogni 1.000 abitanti) e che il blocco del turnover per i piani di rientro ha chiuso i rubinetti dei concorsi nel pubblico, il futuro per i camici bianchi appare tutt'altro che roseo. Alimentato dallo spettro del precariato (già ora si parla di circa 10 mila precari tra i medici ospedalieri) e della sottoccupazione per tanti giovani professionisti.
Un mix che, dicono gli addetti ai lavori in maniera unanime, impone una riprogrammazione complessiva: dagli accessi all'università alla formazione specialistica, fino alla collocazione dei medici nell'ambito di una riorganizzazione complessiva come quella delle forme di cura sul territorio verso le quali il Sistema sanitario nazionale sta andando. Senza correttivi immediati, infatti, il Ssn dovrà fare i conti entro i prossimi dieci anni con la mancanza di specialisti destinati allo svolgimento di funzioni non delegabili ad altre professioni sanitarie. Quanti sono e dove sono impiegati. Secondo i numeri forniti da Angelo Mastrillo rappresentante dell'Osservatorio delle professioni sanitarie, a fine 2013 il totale degli iscritti all'albo ammontava a 376.265, con una crescita annua di circa 6.500 professionisti. La maggior parte di questi è dipendente del Servizio sanitario nazionale, mentre una minoranza impegnato in misura esclusiva o prevalente nella libera professione (circa 90 mila).
Numeri che farebbero pensare a una cifra sufficiente di camici bianchi per la sanità pubblica, anzi secondo un recente e discusso rapporto dell'Università di Tor Vergata "Crisi economica e sanità: come cambiare le politiche", addirittura eccessiva. Secondo l'indagine, infatti, si parla di 18.800 unità in più rispetto ai vincoli imposti dalla spending review. La realtà per Riccardo Cassi, presidente del Coordinamento italiano medici ospedalieri, però è ben diversa: "Il punto è che il nostro sistema sanitario è composto da troppi piccoli presidi che consumano personale. Se ci fosse una seria rete ospedaliera strutturata, invece, le risorse mediche sarebbero sufficienti. Il sistema così non regge, si sprecano le risorse economiche e professionali. È necessario riorganizzarlo al più presto".
L'andamento degli ultimi anni. In verità per tanto tempo si è pensato che i camici bianchi fossero pochi. Fatta eccezione per il 2013 e il 2014 in cui i tagli alla spesa sanitaria hanno costretto le regioni a diminuire la domanda di professionisti, nell'ultimo decennio il fabbisogno è andato aumentando sempre di più: da circa 7 mila nel 2007, a 10 mila nel 2010 fino a 12.494 nel 2012 con un aumento del 18% solo per l'anno precedente.
Parallelamente all'aumento richiesto dalle Regioni, si è puntato a un incremento degli accessi formativi alle facoltà di medicina, passati dai 7.366 nel 2007 agli oltre 10 mila negli ultimi due anni, con un incremento pari a circa 30%. Il punto è, come ha spiegato a ItaliaOggi Sette Maurizio Benato, vicepresidente della Fnomceo, "che i criteri adottati nella determinazione dei posti tengono conto di esigenze che arrivano da realtà diverse", talvolta non in comunicazione una con l'altra. C'è la realtà "delle regioni, sulla base del puro criterio anagrafico e sul calcolo dei presunti pensionamenti nei diversi settori professionali, delle università, sulla base delle disponibilità logistiche e formative legate anche al numero dei docenti e del ministero della salute sulla base degli obiettivi sanitari nazionali".
Alla luce di tutti questi dati la Federazione dei medici ritiene che un numero di accessi programmato pari a circa 7 mila per l'anno 2014-15 sia adeguato a coprire il turnover dei medici. Una programmazione eccessiva, al contrario, rischierebbe invece di provocare una futura nuova area di disoccupazione o sottoccupazione medica. Il gap tra i laureati e gli aspiranti alla specializzazione. Diminuendo il numero degli accessi, si andrebbe a ridurre pure lo scollamento tra laureati e aspiranti alle specializzazioni, i cui posti calano sempre di più. Mentre diminuiscono i contratti, aumentano i concorrenti visto l'aumento del numero degli accessi alle facoltà. Una riduzione che non deriva da un taglio effettivo, ma da una cattiva programmazione e, nello specifico, dal mancato adeguamento del capitolo di spesa dei contratti ministeriali a fronte dell'incremento della durata di un anno di quasi tutte le scuole di specializzazione, introdotto dalla riforma del 2005.
Se il sistema ha più o meno retto fino ad ora, per il prossimo futuro è destinato ad implodere. Basti pensare che già per l'anno in corso le borse di studio per i camici bianchi in formazione saranno garantite solo per il 50% di quanti si laureano. Per anni c'è stata una disponibilità di circa 5 mila posti l'anno, dal 2013 questo numero è sceso a 4.500, e per l'anno in corso si parla di una dotazione di risorse sufficiente a finanziare poco più di 3 mila contratti di formazione. Quello delle specializzazioni ha spiegato ancora Cassi è un altro nodo da sciogliere: "Le necessità delle specialità dovrebbero essere calcolate non sulla base dei posti nelle università ma sulle quelle regioni e si eviterebbe cosi di produrre una disomogenea distribuzione che non risponde ai reali bisogni".
La carenza di specialisti in medicina è rilevante per anestesisti, radiologi, rianimatori, otorino e igienisti. I pediatri oggi, sono 14.300 e si prevede che scenderanno a 11 mila nel 2015 e 6.400 nel 2030. Già oggi ne mancano più di 2 mila. C'è poi la crisi di chirurgia: da anni molti giovani evitano questa scelta per i timori derivanti dai troppi rischi specie per facili denunce e costi elevati dei premi assicurativi per responsabilità civile.
(Cds/ Dire)