Roma, 4 feb. - Per la Regione Lazio è più importante tutelare la libertà personale della salute collettiva. Anche quando in ballo c'è una malattia altamente contagiosa come la tubercolosi. E nonostante l'invito a controllare più efficacemente la diffusione della patologia venga dalla magistratura. Dati i frequenti casi di extracomunitari affetti da tbc che decidono di sottrarsi alle cure ospedaliere, e dopo il clamoroso caso di contagio da Mycobacterium tubercolosis di 164 neonati all'interno del Policlinico Gemelli, la Procura di Roma nel 2012 si era rivolta all'allora governatrice del Lazio Renata Polverini.
Nella lettera, i vertici dell'amministrazione regionale venivano sollecitati a prendere dei provvedimenti concreti per evitare la diffusione del batterio, chiedendo il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio (Tso) per i pazienti malati di tubercolosi riluttanti a farsi ricoverare e che, sotto la propria responsabilità, firmano il registro delle dimissioni dall'ospedale. La Polverini ha risposto al procuratore aggiunto che limitare la libertà personale non è semplice, specie in caso di malattia. Per rendersi ancora più convincente, ha ricordato che i giudici dovrebbero capire meglio di chiunque altro quanto sia importante tale libertà e cosa significhi limitarla, quando sono "costretti" (nei casi previsti dalla legge) a emettere delle ordinanze di custodia cautelare.
È vero che secondo l'articolo 13 della Costituzione "la libertà personale è involabile" e che "non è ammessa nessuna forma di restrizione se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria". Ma è anche vero che la norma costituzionale (all'articolo 32) consente alcune eccezioni in tema di trattamento sanitario obbligatorio. Secondo la legge, infatti, il Tso può essere imposto in maniera coattiva nei casi di malattie infettive e diffusive per le quali esista l'obbligo di notifica alle autorità sanitarie competenti per territorio. Gli articoli 253 e 254 del testo unico delle leggi sanitarie (n.1265 del 1934) stabiliscono l'obbligo per il medico di denunciare al sindaco e alla Asl i casi di malattie pericolose per la salute pubblica. Nel decreto ministeriale del 5 luglio 1975 (compresa la sua ultima modifica del 15 dicembre 1990) è inclusa anche la tubercolosi nell'elenco di tali patologie infettive. Il trattamento sanitario obbligatorio viene disposto dal sindaco del comune presso il quale si trova il paziente, su proposta motivata di un medico, e deve essere convalidato da parte del giudice tutelare.
La richiesta della Procura di Roma alla Regione Lazio, oltre quindi a essere prevista dalla legge, ha dei precedenti nel resto d'Italia. Nel febbraio del 2010 a un romeno da tempo affetto da tbc, che rifiutava di curarsi, venne ordinato dalla Procura di Milano il ricovero coatto all'ospedale San Paolo. A Sassari un altro romeno, senza fissa dimora, dopo la diagnosi di tbc polmonare bacillifera (particolarmente contagiosa), si era allontanato dal nosocomio, circolando liberamente per le strade della città, dove usava chiedere l'elemosina. È scattato subito l'allarme per motivi di incolumità pubblica e il sindaco ha emesso il provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio. Il 16 novembre 2011 gli agenti della polizia municipale l'hanno rintracciato, dopo 3 giorni di ricerche. Un caso di Tso per tubercolosi c'è stato anche a Ferrara nell'agosto del 2012: i sanitari e le forze dell'ordine hanno costretto un giovane a farsi assistere in ospedale.
La storia del bacillo di Koch in Italia ha visto una progressiva riduzione della patologia dall'inizio del 1900 agli anni '80 e poi un'involuzione in questi ultimi decenni. Ad attestarlo è lo stesso ministero della Salute: "Il progressivo aumento dei casi di tbc in persone immigrate da altri paesi ha comportato problemi nuovi nella gestione: difficoltà di accesso ai servizi, barriere culturali e linguistiche, difficoltà di trattamento". "L'esperienza di altri paesi- prosegue il documento intitolato 'Stop della tubercolosi in Italia'- ci dice che è possibile ottenere risultati tangibili, a condizione che gli interventi siano improntati all'azione". E l'azione potrebbe essere proprio quella suggerita dalla Procura di Roma: un ricorso più frequente al trattamento sanitario obbligatorio, per evitare il contagio di una malattia che si credeva debellata nella nostra penisola.
(Cds/ Dire)