Roma, 3 feb. - Staranno accanto ai familiari dei malati e faranno da tramite tra chi cerca informazioni e i medici. Potranno offrire un bicchiere d'acqua, dare un po' di conforto, spiegare perché la visita tarda o perché ci vuole tutto quel tempo per sapere qualcosa del proprio caro. Regioni come Toscana, Emilia Romagna e Lombardia sono già partite, con personale stipendiato oppure con volontari. Un'esperienza che in certi casi sta cambiando il rapporto tra strutture sanitarie e cittadini. Adesso è la volta del Veneto, che addirittura propone di coinvolgere anche studenti di Medicina o di Infermieristica: "L'ospedale deve andare verso la persona e non viceversa", ha detto il presidente Zaia.
La parola d'ordine è una: umanizzare il rapporto con chi entra nelle strutture sanitarie, al di là della gravità del suo problema. E rientrano in questa filosofia anche altri servizi messi a disposizione di chi è costretto in sala d'attesa. Ad esempio il wifi o le prese di corrente per ricaricare il cellulare. Sembra banale ma per chi sta anche sei ore fuori da un pronto soccorso non lo è. Sono ormai molte, inoltre, le strutture che mettono a disposizione i dati sul numero delle persone in cura dentro ai dipartimenti di emergenza e i tempi di attesa a seconda della gravità del caso, cioè in base al codice assegnato (rosso, giallo, verde o bianco). Vengono diffuse attraverso schermi sistemati in sala d'attesa e certe volte anche sui siti internet delle Asl. C'è anche chi trasmette video informativi di carattere sanitario oppure notiziari.
I pronto soccorso italiani fanno più di 13 milioni di interventi all'anno, e di recente si assiste a un leggero calo del dato. Sono la porta degli ospedali e accogliere meglio i malati e i loro parenti può voler dire cambiare il rapporto tra cittadini e sistema sanitario. Purtroppo quello dell'emergenza è uno dei settori in cui è più stridente la differenza, ormai diventata luogo comune, tra i sistemi sanitari regionali italiani.
Al centro-sud ci sono strutture perennemente in crisi sotto la pressione dei pazienti, con le barelle nei corridoi perché i reparti non ricevono malati, le ambulanze bloccate in coda, i familiari lasciati senza informazioni. E le attese sono lunghissime, anche di oltre 10 ore. Recentemente a Roma ci sono stati problemi gravissimi, che hanno fatto sollevare i sindacati dei medici contro la Regione. Al centro-nord la situazione è migliore, nelle sale di attesa e nelle stanze dell'emergenza, anche se è vero che giornate difficili possono capitare dappertutto.
"È molto importante lavorare sull'accoglienza alla porta dell'ospedale per migliorarla", dice Gian Alfonso Cibinel, presidente della Società italiana di medicina d'urgenza (Simeu), che prosegue: "L'attività di steward e hostess serve soprattutto di giorno, quando vediamo arrivare tanti codici bianchi e verdi, cioè problemi poco gravi che per questo talvolta devono aspettare molto. Anche i filmati con una componente educativa sono molto utili". Per risolvere il problema dei pronto soccorso in affanno, però, ci vuole altro. "Bisogna lavorare perché i reparti degli ospedali siano in grado di accogliere i nostri malati senza lunghi ritardi e rinforzare il territorio, che può servire ad evitare gli accessi al pronto soccorso dei casi meno gravi e a prevenire le ricadute di malati appena usciti dall'ospedale. Il sistema deve essere organizzato meglio. In certe Regioni ci sono troppi ospedali, tanta sanità privata accanto a un territorio troppo debole".
(Cds/ Dire)