Roma, 17 dic. - Dal quotidiano online. 'Italia Oggi'. Dall'alto dei suoi 108 miliardi annui di spesa, la sanità rimane la vera frontiera riformista. Sono passati quasi venti anni dal dibattito televisivo della prima elezione di Romano Prodi, quando la coalizione di centrosinistra contrapponeva il marchio del pubblico alle proposte di parziale privatizzazione della sanità avanzate dal candidato Silvio Berlusconi.
Un sistema misto di produzione dei servizi sanitari che aveva già iniziato a prendere forma, con buoni risultati, in Lombardia. Ma dal 1996 ad oggi nella sanità italiana poco o nulla è stato riformato. La sanità, del resto, è un classico diritto che si presta ottimamente alla demagogia politica: facile da costruire con un colpo di legge ma molto più difficile da realizzare per efficienza operativa ed equilibrio finanziario. Ovviamente la peggiore recessione dal 1929 non poteva non produrre effetti riformisti anche nella sanità pubblica.
La Spagna, ad esempio, dal prossimo 1° gennaio introdurrà il cosiddetto 'copago' ospedaliero, la previsione di pagamento da parte del cittadino del 10% del costo dei farmaci corrisposti dagli ospedali fino a un massimo di 4,2 euro. Una misura che si aggiunge al copago farmaceutico, in vigore dal luglio 2012, che prevede l'obbligo del pagamento del 40% del costo dei farmaci per i redditi inferiori ai 18 mila euro annui, del 50% per quelli fino a 100 mila e del 60% per chi supera quest'ultima soglia. Ben 425 sono poi i farmaci esclusi da ogni contribuzione pubblica che i cittadini devono pagarsi integralmente. Tutti in Spagna sono tenuti a pagare, anche i pensionati. Si tratta di una doppia modalità di favorire l'efficienza nella spesa sanitaria: da un lato riduce l'elasticità al consumo molto elevata quando i servizi vengono erogati gratis; dall'altro favorisce meccanismi di maggior controllo da parte dei cittadini/contribuenti della qualità dei servizi sanitari ricevuti.
E in Italia? Fallite le promesse di riforma berlusconiane, c'è soltanto da capire cosa il Pd a guida Renzi intenda fare. Come pensare, ad esempio, che una start up innovativa possa mai riuscire a vendere una sua brillante tecnologia se chi compra sanità è un burocrate, molto spesso neppure trasparente o sensibile al rispetto della legge come moltissimi casi certificano? Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che la pressione fiscale italiana segnala la non sostenibilità di una spesa sanitaria a pioggia (l'Irap, imposta di scopo per la sanità, copre circa 35 mld dei 108 spesi), i tempi sarebbero più che maturi per una spending review. E qui i margini di manovra riformisti per Renzi sono ampi e vergini, perché nessun suo predecessore ha mai avuto il coraggio di fare nulla di strutturale.
(Cds/ Dire)