Roma, 4 dic. - Diminuiscono i medici e gli infermieri. I carichi di lavoro si fanno pesanti. "Cosi'- denuncia il presidente dell'Ordine dei medici, Roberto Lala- chiunque puo' sbagliare". È l'emergenza delle emergenze. Dura da anni. Ma e' sempre piu' grave. Con una media di uno ogni due mesi, lo stato maggiore dell'ente pubblico dei camici bianchi continua a battere i pronti soccorsi dei grandi ospedali. "In queste condizioni- dice Lala- la salute dei cittadini e' a rischio".
Ieri e' stata la volta del Sant'Andrea, 50mila accessi all'anno nella front line ospedaliera, con 700 pazienti in codice rosso (a rischio di morte), assistiti da 25 medici e 55 infermieri. In un comunicato, l'Ordine da' numeri piu' bassi. Tant'e', anche con le forze in campo, si rischia di combattere le guerre stellari con l'alabarda.
"Le criticita'- spiegano i dirigenti dell'Ordine- nascono dalla carenza dei servizi sanitari nel territorio". È vero, senza centri di quartiere per l'assistenza primaria, anche delle patologie urgenti ma non gravi, sono il pronto soccorso e, in ultima analisi, gli assistiti a essere penalizzati.
"L'Ordine dei medici ha ragione- replica la manager del Sant'Andrea, Maria Paola Corradi- ma la sicurezza dei pazienti, almeno qui, e' salvaguardata: i medici e gli infermieri in campo sono di piu' rispetto agli standard regionali sui requisiti minimi ospedalieri e possono disporre di consulenze diuturne dei professionisti di ogni specialita'".
Come dire, stiamo male ma meno peggio di altri. "Ne e' prova- continua Corradi- la segnalazione del Sant'Andrea come uno degli ospedali migliori, firmata dal comitato scientifico internazionale del sito 'Dove mi curo'".
Ma anche questo pronto soccorso, per assedi quotidiani e tempi di attesa, non si distingue dagli altri. "Per ora- dice ancora Corradi- complice la carenza di spazi, non possiamo riorganizzare il Dea".
E, segnalano i medici dell'Ordine, "ogni giorno una cinquantina di assistiti si alternano in barella aspettando un posto in corsia o la visita del medico". I letti ospedalieri, 400 in tutto, non restano vuoti. La durata media di degenza e' poco meno di otto giorni, in linea con quella regionale.
Ma e' sulla trincea della prima linea che si combatte: "Non e' in gioco solo la dignita' della persona bisognosa di cure immediate- conclude Lala- c'e' un rischio concreto per la sicurezza dei pazienti e del personale che e' ormai esasperato per le condizioni di lavoro che minano la capacita' di attenzione e diagnosi".
(Cds/ Dire)