(DIRE - Notiziario settimanale Esteri) Roma, 28 mag. - Una ragazza di 19 anni, Marie, che quando e' tornata a trovarla si e' portata la bambina avuta dopo essere guarita da ebola. E "una signora" di Bergamo, che in tanti pensavano di aver perso e che invece e' ancora li': "L'abbiamo vista seduta e spero davvero la vedremo presto in piedi. Il suo nome? Non lo dico, incrociamo le dita".
A parlare, gli occhiali grandi che ballano sulla mascherina, e' Gina Portella. Non una dottoressa qualunque. Medico anestesista rianimatore, 54 anni, ha lottato contro due virus che hanno colpito e spaventato il mondo. Prima ebola, tra il 2014 e il 2015 migliaia di morti anche in Sierra Leone, e poi il Covid-19 qui in Italia.
L'intervista con 'Oltremare', pubblicazione dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), si tiene in collegamento video dal presidio alla Fiera di Bergamo dell'ospedale Papa Giovanni XXIII, in pochi minuti di pausa tra un intervento e l'altro in corsia.
Con Emergency dal 2005, Portella coordina la risposta dell'ong italiana all'emergenza Covid-19. Di pazienti, ricordi e impegno per il futuro parla intrecciando storie, Paesi e situazioni, convinta che diritto alle cure e medicina debbano essere "universali" e che allora tutto torni, come in un cerchio che si chiude. "Ci sono volti che ti restano appiccicati addosso, piu' di altri, e capita di non sapere nemmeno il perche'" premette.
"Ricordo quella ragazza: era arrivata da noi, a Goderich, alle porte di Freetown, nel novembre 2014; la situazione in Sierra Leone era drammatica e noi avevamo solo una struttura in tenda, anche se con la possibilita' di dare ossigeno, dei monitoraggi continui e delle pompe-siringhe da infusione necessarie per i farmaci un po' piu' avanzati".
Sembrava che Marie non ce l'avrebbe fatta. C'era stato un momento di panico, non si capiva se ci fossero margini di intervento. "Invece alla fine Marie si era ripresa e la cosa piu' bella e' che si era rivelata una rompiscatole, allontanando subito ogni tipo di paternalismo possibile in casi del genere: se ne andava in giro per l'ospedale con richieste davvero da ragazzina". Anni dopo c'e' stato un altro incontro, quando Portella e' tornata nell'ospedale di Goderich: "Era arrivata con la sorella e la bimba in braccio: del papa' neanche a parlarne, ma quant'era felice; l'avevamo rimessa ai blocchi di partenza, libera di fare cio' che voleva".
Oggi, in Italia, un altro virus ma la stessa voglia di vivere. Come quella della "signora" di Bergamo, una delle prime vittime del Covid-19. "Non sappiamo se sia stata la conseguenza di una fase acuta o di una riacutizzazione ma c'e' stato un fine-settimana in cui abbiamo pensato di perderla" racconta Portella. "Adesso invece e' ancora qui, l'abbiamo vista seduta e se davvero la vedremo in piedi sara' una gioia che ripaghera' di tutto".
In corsia, all'ospedale in Fiera, il lavoro continua.
Emergency gestisce un modulo da 12 posti letto di terapia intensiva con uno staff composto da oltre 40 operatori, medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e di radiologia. Piu' dei numeri, pero', "appiccicate addosso" restano le storie. In Italia e nel mondo, sottolinea Portella. Convinta che le vite salvate in queste settimane di pandemia siano anche il risultato dell'impegno di anni fa contro ebola. Un'esperienza che, guardando avanti, si sta rivelando preziosa per chi guarda al lavoro dei medici italiani come a un modello e un riferimento per affrontare il nuovo coronavirus. "Penso anche ai Paesi dell'Africa o all'Afghanistan" dice la coordinatrice di Emergency: "Hanno sistemi sanitari estremamente fragili e devono ricevere un'attenzione speciale; ebola e coronavirus ci hanno insegnato che la medicina deve essere di tutti".
(Red/ Dire)