Roma, 2 mag. - "Permetteteci di presentarci: siamo Donne Nere Italiane, cittadine di un Paese in cui molte di noi sono nate e cresciute, e del quale vorremmo poterci sentire sempre parte integrante, non integrata, come accade ancora molto spesso": e' l'incipit di una lettera aperta di un collettivo con origini africane che prende spunto dalla critica alla pubblicazione nei giorni scorsi di una fotografia che ritrae il sindaco di Milano Giuseppe Sala insieme con una bambina nera, si legge nel testo, "collocata ai suoi piedi".
Nella lettera, pubblicata sul sito internet dell'associazione Afroconnessioni e firmata da Eden Embafrash, Alesa Herero, Kwanza Musi dos Santos, Kiasi Sandrine Mputu, Leaticia Ouedraogo, Sara Tesfai, Susanna Owusu Twumwah, Angelica Pesarini e Loredane Tshilombo, si propone l'obiettivo di "una Milano multietnica ed entusiasta della ricchezza derivante dalle molteplici culture che la compongono, e per incoraggiare un rapporto paritario di scambio reciproco di conoscenze teso alla convivenza armonica".
"Vorremmo - si legge nella lettera - essere sempre soggetto della nostra rappresentazione, narrazione mediatica e agenda politica e non un mero oggetto o un'immagine strumentalizzata all'occorrenza. Per tali ragioni, ci e' sembrato necessario, e doveroso, scrivere a Lei, Sindaco Sala e al team editoriale di 'Style' ('Corriere della Sera') in riferimento alla foto pubblicata il 24 aprile scorso che ritrae proprio Lei, Sindaco, seduto, in compagnia di un bambino, bianco, posizionato alle Sue spalle ed una Bambina, Nera, collocata ai Suoi piedi. Partendo da quella che e' la prospettiva di noi Donne Italiane e Nere, ma anche di tutte e tutti coloro che sono coinvolte/i nella vita, la crescita e l'educazione di bambine/i nere/i, scriviamo per esporvi in maniera sincera e sentita la nostra criticita' in merito all'immagine, per fornirvi un'analisi di chi, a suo tempo, e' stata quella Bambina ed e' oggi madre di una bambina simile, ed infine, per avanzare delle proposte volte ad attivare un reale dialogo inclusivo e multiculturale, evitando di ritrarre determinate categorie in modo offensivo e deleterio".
Nella lettera si legge ancora: "L'immagine pubblicata raffigura un uomo bianco e potente, Lei Sindaco Sala, seduto su una sedia. Alle Sue spalle si vede un bambino bianco, in posizione eretta, mentre ai Suoi piedi, seduta a terra che Le abbraccia teneramente la caviglia, si vede una Bambina Nera, rappresentata quasi fosse un docile cagnolino. Se per una determinata fascia di Milano e dell'Italia, l'immagine rispecchia il messaggio di una 'Milano aperta', Noi, Bambine, Ragazze, Donne Nere abbiamo colto un simbolismo molto diverso, che fa riferimento a codici visivi e culturali propri di una tradizione coloniale e patriarcale che, storicamente, ha collocato il soggetto Femminile Nero ai gradini piu' bassi della scala gerarchica sociale.
Guardando questa foto, noi, le dirette interessate, Donne Nere, Afrodiscendenti e Italiane, non abbiamo potuto fraintendere: questo posizionamento della Bambina Nera ai piedi di un uomo bianco non e' un'immagine neutra, ha un significato storico fortemente connotato, un significato ed una storia, purtroppo, non conosciuta da Paolo di Paolo, il team editoriale di Style e da Lei Sindaco. Fin dai tempi della schiavitu' nelle Americhe, per arrivare al piu' recente colonialismo italiano, le donne nere non sono state considerate donne bensi' 'femmine', adatte a relazioni sessuali ma sprovviste dell'essenza femminile attribuita esclusivamente alle donne bianche".
Le attiviste continuano: "La foto in questione, inoltre, si accompagna al seguente messaggio: 'Milano citta' aperta, tollerante ma attenta alle regole'. Coloro che non vedono il torto in questa foto e nella didascalia, partendo dall'autore stesso dello scatto, il fotografo Paolo di Paolo, Lei, Sindaco, e il team editoriale di 'Style' hanno effettivamente ragione di non vederlo, perche' non sono i soggetti in questione. Essere ciechi di fronte a situazioni razziste capita poiche', talvolta, certi dettagli molto chiari agli occhi dei soggetti razzializzati, sfuggono a chi, anche tra i piu' volenterosi e' sprovvisto di 'lenti adeguate', per cosi' dire, in grado di vedere, o cogliere, certe informazioni. Anche se la razza in se', come fenomeno biologico non esiste, ed e' dunque insensato classificare gli esseri umani in base ad un'idea scientificamente non veritiera, le micro aggressioni quotidiane di matrice 'razziale' subite dai soggetti razzializzati, esistono e sono reali.
Tali dinamiche, che si basano su un significato storicamente attribuito a certi tratti fisici, come il colore della pelle ed alcuni tratti somatici, in grado di definire un certo gruppo di persone, si manifesta in gesti apparentemente neutri, o addirittura pensati come positivi, come la foto in questione.
Tuttavia, la presunta neutralita' o 'buona intenzione' di tali gesti o parole producono risultati controproducenti, in quanto contribuiscono a ricalcare la cosiddetta 'linea del colore', quella linea tra bianco e nero, in grado di stigmatizzare, umiliare, ed escludere una certa parte della popolazione da alcuni diritti fondamentali, tra cui il diritto alla rappresentazione".
Nella lettera si avanzano proposte. "È opportuno - sottolineano le attiviste - che il gabinetto di una delle citta' piu' importanti d'Italia, e la redazione di una delle testate piu' diffuse del paese, si dotino di persone competenti in materia di diversity & inclusion, chiedano consulenza ad esperte/i di studi di genere, razza e sessualita', e che nel veicolare le immagini pongano estrema attenzione alle conseguenze di un determinato linguaggio visivo. Noi siamo pronte ad offrire il nostro contributo e la disponibilita' ad incontrarci ogni qualvolta lo si ritenga necessario, sperando di prevenire situazioni spiacevoli, come questa, e lavorare insieme per costruire un'immagine della citta' e del paese in linea con l'assetto sempre piu' demograficamente multiculturale. Inoltre vorremmo essere ascoltate quando si affronta il tema del razzismo, in quanto, benche' chi non e' vittimizzato possa provare empatia, riteniamo che l'autorita' e l'autorevolezza di esprimersi sulla sofferenza fisica e psicologica spetti a coloro che il razzismo lo vivono in prima persona, tutti i giorni, e in vari modi".
(Red/ Dire)