Roma, 13 giu. - "Attraverso il film 'Bangla' abbiamo voluto raccontare un mondo che forse in molti non conoscono: quello delle seconde generazioni, e del problema di convivere con un conflitto interno, che consiste nell'essere divisi tra due culture. Quella italiana, di nascita, e quella del Paese di origine. Ma non volevamo dare consigli o lanciare messaggi: questo film punta a suscitare domande e far empatizzare il pubblico con la vita di questi ragazzi". Phaim Bhuiyan e' nato a Roma 23 anni da fa da genitori bengalesi, e sebbene sia cosi' giovane ha gia' realizzato un film, come regista e attore protagonista: 'Bangla', prodotto da Fandango e Timvision, racconta la storia di Phaim, che vorrebbe seguire i dettami dell'islam e soddisfare le aspettative della cultura bengalese dei genitori ma anche vivere come ogni altro coetaneo italiano. Tanto per cominciare, avendo una ragazza con cui poter fare l'amore.
Il tema e' stato oggetto di una puntata del programma di Rai 2 'Nemo - Nessuno escluso'. "Dopo quel servizio, mi sono arrivate tante proposte, tra cui quella della Fandango. Sono stato molto contento" dice Bhuiyan, un diploma in Video Design all'istituto Ied di Roma. E le reazioni della critica e del pubblico, racconta il regista all'agenzia 'Dire', "sono state tutte positive finora.
Non sembra vero". L'anomalia, aggiunge Bhuiyan, "e' che in Italia una tematica del genere non fosse stata ancora trattata. In questo senso credo che il mio film sia molto utile".
Quindi i film possono essere uno strumento di cambiamento? "Aiutano a veicolare messaggi - risponde il giovane cineasta - ma alla fine tutto deve partire dalle persone e soprattutto dalle istituzioni, che devono mettere i cittadini in condizione di vivere in modo piu' civile". Ma come come esponente delle seconde generazioni hai una responsabilita'? "Certo, attraverso questo film posso arrivare a molte piu' persone. Pero' in quanto regista, non deve mancare il lato artistico. Devo anche poter raccontare quello che sento".
Oltre alle disavventure di Phaim e dei suoi amici di origine bengalese, altra protagonista del film e' Roma e, piu' in particolare, il quartiere di Torpignattara, nel quadrante orientale della citta'. "E' un melting pot di culture, dove si vive in maniera molto civile" dice Bhuiyan, che abita a Torpignattara con la famiglia anche nella realta'. Secondo il regista-attore, pero', l'integrazione non e' ancora compiuta: "Non si va oltre il 'buongiorno'; credo ci vorranno ancora anni e questo e' un lavoro che spetta alle seconde generazioni".
Nella capitale pero' c'e' chi guarda con sospetto ai quartieri cosi' multietnici, verso l'islam - molto presente in 'Bangla' - e le culture diverse. Cosa ti senti di dire a queste persone? "E' sicuramente difficile raccontare le religioni perche' c'e' molta ignoranza, quindi l'unico modo per poter migliorare le cose e' parlare proprio con chi ne sa" dice Bhuiyan. "Anche le comunita' straniere pero', devono aprirsi di piu'". Per l'attore, insomma, la chiave di tutto e' il dialogo: "Meglio parlare, anche scontrandosi, piuttosto che restare indifferenti".
E sui bengalesi - oltre 130mila in Italia, secondo dati del governo - che stereotipi ci sono? "Il 'bangla' e' il negozio dove vai a comprare la birra - dice Bhuiyan - oppure e' il venditore di rose, accendini e fazzoletti. Il titolo si ispira a questo, per spiegare che oltre questi cliche' c'e' molto altro".
Un esempio, e' la famiglia stessa del giovane, raccontata anche nel film: "A tavola mangiamo quattro cucine diverse: io quella italiana, mia madre quella bengalese. Poi mio padre e' diabetico, quindi ha le sue cose, e mia sorella invece... beh lei sta sempre a dieta". E' come uno scontro di civilta' quotidiano? "In un certo senso si'", risponde il regista, "ma sempre in maniera ironica e divertente".
(Red/ Dire)