Roma, 6 giu. - Dare la parola ai migranti, che anzi la parola se la prendono, con carta, penna e pc: e' la ricetta quotidiana del 'Black Post', testata multicolore per l'Italia nuova, un Paese che immagina meno bianco e piu' meticcio, aperto a "chi spesso viene denigrato o discriminato".
Gli animatori del progetto, perlopiu' con radici in Africa o altrove ma cresciuti anche professionalmente in Italia, ne parlano in un'intervista con l'agenzia 'Dire'. "Volevamo riempire un vuoto" premette Rose Ndoli, una delle firme della testata, origini in Camerun, a Roma da 23 anni. "Si', parola ai migranti, perche' oggi tanti di noi non hanno la possibilita' di esprimersi, anche solo un po', per difendersi o magari solo dire 'ci siamo' e far capire alle persone che abbiamo bisogno di integrarci".
Secondo i responsabili del progetto, sostenuto dal giornalista Sandro Medici, ex direttore del quotidiano 'Il Manifesto', l'impegno e' "rovesciare il punto di vista, ribaltare la prospettiva, cambiare lo sguardo con cui leggere la realta'".
A confermarlo Luca De Simoni, 25 anni, studente universitario, pure collaboratore del 'Black Post': "Non capita quasi mai di vedere un immigrato in televisione o nei talk show, come firma su un giornale o ai microfoni di una radio; a parlare e' sempre qualcun altro, che magari difende la posizione dell'immigrato, ma non e' la stessa cosa". Secondo De Simoni, "c'e' qualcosa da aggiungere, qualcosa che non puo' essere detta allo stesso modo da chi non vive la situazione di immigrato sulla propria pelle".
Nella redazione romana e nella cucina degli articoli, in realta', bianco e nero si contaminano. Diversi gli studenti che contribuiscono, quando serve, anche con la correzione delle bozze. Gli articoli, quotidiani, riguardano temi di attualita' e rilievo sociale: tra i titoli degli ultimi giorni 'Un aiuto che non aiuta', sui paradossi e i limiti della cooperazione internazionale, o 'Questione di dignita'', sul "problema dell'immigrazione" e i rischi di "strumentalizzazione" da parte della politica.
Contributi immaginati e scritti da chi e' arrivato in Italia da bambino o da pochi anni, o magari in Italia c'e' nato. Tutti convinti che magari si possa cambiare un po' anche il giornalismo. "Viviamo in un Paese dove ci si puo' esprimere e allora vogliamo incontrarci e parlare, magari anche attraverso una testata" riprende Ndoli: "Non e' affatto detto che chi ha radici anche altrove non possa essere farmacista, medico, professore o cronista".
(Red/ Dire)