Roma, 17 dic. - "Ho dovuto lasciare la Libia perche' c'e' la guerra, ma soprattutto perche' sono lesbica e con la mia compagna volevamo vivere insieme. Cosi' siamo venute in Italia, e sei mesi fa ci siamo finalmente sposate". Cosi' alla Dire Noura, una rifugiata di origine libica in Italia da qualche anno. Il suo e' un nome di fantasia, una precauzione per evitare problemi a se' e a sua moglie: "In Libia la situazione per gli omosessuali e' difficile", spiega Noura, una carriera da docente di Storia dell'Arte presso l'Universita' di Zawiya, sulla costa occidentale del Paese.
La professoressa, che oggi fa la cameriera a Milano, si sta ricostruendo una vita grazie al sostegno di Lesbiche senza frontiere (Lsf), una delle associazioni che hanno aderito al programma PartecipAzione di Intersos, finanziato dall'Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), per favorire l'inclusione di migranti e rifugiati nel nostro Paese.
"Quando io e la mia compagna siamo arrivate, non riuscivamo a capire una parola" prosegue Noura. "Neanche le leggi sono chiare quindi e' stata una grande fortuna avere qualcuno che ci aiutasse, non solo traducendo le informazioni ma anche spiegandoci come funzionano le cose". Grazie a Lesbiche senza frontiere, assicura la donna, "abbiamo trovato anche una nuova, grande famiglia".
In Libia, gli esponenti della comunita' Lgbt+ non hanno vita facile: come denunciano le organizzazioni per i diritti umani, oltre alle discriminazioni, il rischio e' di subire violenze da parte dei gruppi armati ribelli che abbracciano il fondamentalismo islamico.
Ma per i rifugiati omosessuali i problemi non finiscono neanche nei Paesi di accoglienza, come spiega ancora alla Dire Helen Ibry di Lesbiche senza frontiere: "Nella maggior parte dei casi non possono fare riferimento alla loro comunita' di origine" denuncia la responsabile, che prosegue: "Nei centri di accoglienza si sono registrati anche vari casi di aggressione.
Una soluzione sarebbe quella di creare, accanto alle stanze per uomini e donne, anche quelle riservate a gay, lesbiche e transessuali. Noi di Lesbiche senza frontiere- aggiunge Ibry- oltre a fornire corsi di lingua o alfabetizzazione informatica, diamo a queste donne degli spazi dove possono esprimersi liberamente, condividendo esperienze e creando nuovi rapporti, per non sentirsi piu' sole".
L'associazione, vincendo il bando del programma PartecipAzione, ha ottenuto i soldi necessari per aumentare l'informazione tra le rifugiate lesbiche, che spesso si ritrovano a vicere una condizione di particolare esclusione. Grazie ai fondi ottenuti poi "Stiamo finendo di mappare i servizi offerti a migranti e rifugiati a Milano e provincia". Due i criteri rispettati: "alle ragazze abbiamo chiesto di valutare il personale e il servizio offerto, ad esempio indicando quanto gli impiegati sono stati gentili, consapevoli delle loro necessita' ed efficienti. Inoltre, devono riferire quali servizi tengono conto delle esigenze della comunita' Lgbt+".
(Red/ Dire)