Gerusalemme, 11 apr. - Gerusalemme - Si parte con un kibbutz, poche tende e qualche strumento per lavorare la terra. Poi arrivano il filo spinato e le telecamere. Appena l'insediamento cresce, ecco l'esercito: e' il segnale che si puo' iniziare a costruire.
Il panorama che circonda la tomba di 'Erode il grande' a Betlemme, Cisgiordania, e' desolante. Le colline, un tempo pascoli verdi per i pastori palestinesi, sono ormai invase dagli insediamenti dei coloni israeliani. Sull'ultimo spazio libero, gia' iniziano a spuntare le prime case.
Siamo sulla strada per Hebron, piena 'area C', territorio palestinese controllato dall'esercito di Tel Aviv. I check point e le 'Watch Tower', le torrette utilizzate dai militari israeliani, sono ovunque. Ad ogni incrocio, decine di telecamere. "Ufficialmente questo territorio dovrebbe essere palestinese", mi spiega Ayoub, la mia guida. "Ma quando i coloni si insediano ed arriva l'esercito, Israele ne prende il controllo. Ormai l'area A, quella sotto il pieno controllo palestinese, resiste solo all'interno delle citta'".
E' sabato, Shabbat, e la strada scorre libera. Nel panorama, le case palestinesi sono immediatamente riconoscibili: "Hanno i bidoni per conservare l'acqua sui tetti. Succede spesso che il nostro governo non paghi regolarmente e gli israeliani stacchino l'acqua corrente. Comunque meglio che a Gaza, dove l'elettricita' viene fornita per 4 ore al giorno".
Gli chiedo se pensa se la situazione, con le elezioni in Israele, possa cambiare. Scuote la testa prima di invitarmi a non buttare la sigaretta fuori dal finestrino: "C'e' un check point qui davanti ed ogni scusa e' buona per darci fastidio. Non cambiera' nulla: vogliono solo renderci la vita impossibile per spingerci ad andarcene".
ELEZIONI IN ISRAELE, GUERRA IN CISGIORDANIA Per la Cisgiordania o, come la chiamano i suoi abitanti, la 'West Bank', le tensioni sono pane quotidiano. Ma le elezioni in Israele vogliono dire guerra.
Ayoud mi indica una torre di guardia sporca di fuliggine e vernice, segno di scontri recenti: "da li', la settimana scorsa, hanno sparato ad un ragazzo di 19 anni". Perche'? "Non lo sappiamo, le telecamere le controllano loro, fanno sapere solo quello che vogliono".
Percorriamo 800 metri, un'altra torretta, altri segni di scontri: "I cecchini li' sopra tengono sotto tiro l'ingresso di quella scuola", dice indicando il compound costruito dalle Nazioni Unite. Mi spiega che le forze israeliane temono che gli studenti possano lanciare i sassi contro le auto dei coloni, cosi' ogni assembramento nel piazzale antistante la scuola e' proibito. "La settimana scorsa, dopo i raid su Gaza, gli studenti hanno provato a protestare ma sono stati immediatamente dispersi da un forte lancio di fumogeni".
Provo a controbattere, dicendo che la verita' non sta mai da una sola parte, che anche gli israeliani contano vittime: "Certo, ma la sproporzione di forze e' troppa. Un palestinese attacca quando e' disperato, quando gli hanno arrestato il padre, ucciso un fratello o portato via la casa. Gli israeliani lo sanno che non possono fermare un uomo che ha deciso di morire, per questo hanno cosi' tanta paura".
Penso ai casi di 'cronaca', a quel padre che, dopo l'omicidio del figlio, ha caricato un check point uccidendo 5 soldati prima di essere 'neutralizzato'. O a quel ragazzo, stanco dei soprusi, che si e' ribellato ai controlli uccidendo 3 militari prima di dileguarsi nel nulla: "Lo hanno cercato per un mese, mobilitando piu' di 4.000 soldati e battendo strada per strada tutta la West Bank. Alla fine l'hanno trovato e trasportato in una prigione in Israele".
(Red/ Dire)