Milano, 29 nov. - Dai lager nazisti alle carceri della Libia fino alle odissee che i migranti affrontano cercando di raggiungere l'Europa.
Parallelismi che attraversano le epoche storiche e popoli diversi, affiorati durante le storie raccontate oggi nel corso del Festival GOes DiverCity, in corso a Milano. Racconti di dolore, soprusi disumani e diritti negati, vissuti in prima persona, di cui fare memoria per avvicinare le culture e trasmettere consapevolezza alle giovani generazioni.
"Eravamo in 34 persone in una jeep, tutti un mucchio, pregando di non scivolare giu', altrimenti saremmo diventanti scheletri nel deserto" racconta Tareke Brhane, eritreo, attivista per i diritti umani e presidente del Comitato Tre Ottobre, impegnato a tenere vivo il ricordo del naufragio avvenuto vicino alle coste dell'isola di Lampedusa che nel 2015 costo' la vita a 368 persone, "donne, bambini, bambini non ancora nati perche' nel grembo materno, uomini", che cercavano di raggiungere l'Europa".
Ma oggi a Milano, come fa nelle scuole di tutta Italia, Brhane racconta la sua storia personale, quella di un giovane che dall'Eritrea parte con un primo dolore fortissimo, il distacco da sua madre, che spera per il figlio una vita migliore, ma che per raggiungerla attraversa esperienze al limite della sopportazione umana nelle mani di trafficanti di esseri umani fino alle terrificanti condizioni delle carceri libiche.
"Molto tempo dopo ho letto i libri di Primo Levi, e ho rivisto esperienze vissute sulle mia pelle o viste in prima presona" dice Tareke, aggiungendo: "Sono qui a parlare di morti invisibili, come quelli dispersi nel Mare Mediterraneo e non solo, perche' sono certo che tenere viva la memoria serve".
Poco prima aveva aperto i lavori del convegno intitolato 'Le memorie del mondo' era stato Dario Venegoni, 64 anni, figlio di due partigiani che furono deportati nel lager di Bolzano, e presidente nazionale dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (Aned): "Oggi mi impegno perche' quello che e' accaduto nella storia e ai miei genitori, deportati in un campo nazista, non accada piu', anche se vedo che purtroppo certe cose accadono ancora" nel mondo.
"Ognuno deve essere protagnista della propria vita ma portare avanti le cause di tutti", dice Sara Geddoudda, 23 anni, nata a Milano da genitori algerini, responsabile dei Giovani musulmani di Sesto San Giovanni.
Geddoudda ricorda dell'aiuto, come interprete offerto ai profughi siriani alla stazione Centrale di Milano nella prima ondata migratoria della Siria nel 2013. "Vidi bambini senza vestiti, e questo mi uccideva il cuore", racconta, "non ci si puo' non impegnare in cause umanitarie", "non possiamo perdere la nostra umanita'".
(Red/ Dire)