Incontri in un villaggio di bambini che sognano il college
Siteki (Swaziland), 22 feb. - Tiene gli occhi bassi, Sincobile, ma accenna un sorriso quando indossa i sandali neri con le calze e il gilet blu, bordi rossi e stemma.
"La divisa per la scuola e' stato il regalo piu' bello" spiega, muovendo appena le labbra sotto i ricci neri. Accanto, c'e' una baracca di pali conficcati nel terreno. All'interno, nella penombra, una pentola fuma sulla brace.
"I miei genitori vivevano qui" ricorda Sincobile: "Un giorno l'aids se li porto' via. Avevo sei anni, doveva essere il 2006; non so nemmeno dove siano stati sepolti". Siamo a Siteki, dove le colline del regno dello Swaziland degradano verso il Mozambico e i campi di granturco seccano al sole. E' una terra di orfani: la pandemia ha ucciso migliaia di persone e oggi il tasso di diffusione dell'hiv resta il piu' elevato al mondo.
Dentro la baracca, appese a un muro, ci sono due fotografie. Ritraggono la madre di Sincobile, sorridente, e la nonna: si chiama Ndombi, ha 71 anni e da dieci si prende cura dei quattro nipoti. I loro genitori se ne sono andati uno dopo l'altro.
"Qual e' il mio sogno? Finire la scuola e andare al college, superare l'esame e diventare infermiera" risponde Sincobile. Accanto sorridono i cugini piccoli che l'aids ha reso suoi fratelli. Lei mostra l'uniforme scolastica, sapendo che in qualche modo e' fortunata: non ha contratto il virus nonostante anche la nonna riesca a tirare avanti e a curare l'orto solo grazie ai farmaci anti-retrovirali che le sono somministrati nel centro di salute di Siteki.
Si', perche' nel villaggio qualcosa sta cambiando. "Mi hanno aiutato ad acquistare la divisa e pagano tasse e libri scolastici" racconta Sincobile. La sua e' una delle famiglie senza genitori sostenute da Sos Children's Villages, in italiano Sos Villaggi dei bambini, una ong che opera in 135 Paesi a sostegno dei diritti dell'infanzia e in particolare degli orfani. Sono loro gli abitanti di Siteki, non solo case famiglia ma anche il centro di salute, gestito in collaborazione con le autorita' locali.
"Garantiamo la terapia a tutte le mamme sieropositive prima, durante e dopo il parto" spiega l'infermiera Nduwela Mavuso: "I loro bambini li seguiamo almeno fino ai cinque anni di vita, impegnandoci a contrastare il fenomeno dei 'defaulters', coloro che abbandonano la cura anti-retrovirale perche' non sono stati informati e vivono nelle aree piu' remote".
L'accesso gratuito ai farmaci e' da oltre dieci anni il cuore della strategia dello Swaziland contro la degenerazione della sindrome da immunodeficienza acquisita. Dopo i primi contagi nel 1986, la crisi si era aggravata fino a colpire 230mila persone, un quarto della popolazione nazionale. Secondo l'Onu, ancora nel 2016 i decessi provocati da malattie connesse all'aids sono stati 3034. Nello stesso anno, quasi il 29 per cento della popolazione di eta' compresa tra i 15 e i 49 anni era affetta dell'hiv.
Secondo il governo dello Swaziland, pero', nel complesso c'e' stata un'inversione di tendenza. "Tra il 2011 e il 2016 l'incidenza si e' ridotta del 45 per cento" spiega all'agenzia DIRE Simon Zwane, primo segretario del ministero della Sanita'. "Stiamo puntando sulla prevenzione, l'educazione sessuale e la salute riproduttiva, concentrandoci sulle adolescenti e le giovani nelle aree piu' colpite".
Pur criticato per il sostegno agli stili di vita tradizionali e patriarcali, simboleggiati dalla poligamia e non dalle pratiche contraccettive, il re Mswati III ha favorito la cooperazione con gli organismi dell'Onu e le ong specializzate. A Siteki alcune delle infermiere del centro sono stipendiate dallo Stato, altre da Sos Children's Villages attraverso i donatori internazionali e le adozioni a distanza.
"La nostra priorita' sono gli orfani, il volto di un'emergenza che continua nonostante i progressi degli ultimi anni nella lotta all'aids" sottolinea Loretta Mkhonta, la direttrice nazionale della ong.
Per capire che le cose stiano davvero cosi' basta bussare alla porta dell'asilo o di una delle 12 case famiglia di Siteki, dove chi ha perso entrambi i genitori ora cresce con una madre accanto. "Con me siamo in nove" sorride Faith Vilakati, 45 anni. Tiene in braccio il piccolo Piswati e fuori dal conto invece i figli naturali, che ormai sono maggiorenni e studiano al college. In casa si lavano i piatti a turno, nelle stanze ci sono i letti a castello, sulle mensole libri di scuola e trofei sportivi.
Nel villaggio sono accolti anche bambini che hanno subito violenze e che non e' possibile reinserire nelle famiglie d'origine. In tutto sono 120, ognuno con la sua nuova mamma. Una goccia nel mare degli orfani dello Swaziland, ma anche il legame indispensabile tra passato e futuro.
Le difficolta' sono legate anche al contesto internazionale. La crisi economica del Sudafrica ha determinato il deprezzamento del rand e il rincaro di quasi tutti i beni di importazione dello Swaziland, quelli che dall'aeroporto intitolato a re Mswathi III superano Manzini e salgono poi sui tornanti fino alle colline verdeggianti della capitale Mbabane. Solo di recente il Paese e' stato poi reinserito nella lista dell'African Growth and Opportunity Act (Agoa), la legge che promuove il commercio tra gli Stati Uniti e l'area subsahariana. La sospensione era stata motivata da Washington con una mancanza di progressi sul terreno della "democrazia" e del "rispetto dei diritti umani". Secondo la Camera di commercio dello Swaziland, tra il 2014 e il 2017 il valore delle importazioni americane di tessuti e' crollato da 55 milioni ad appena 562mila dollari.
Questa settimana, in alcune universita' ci sono state proteste per i ritardi nei pagamenti di borse e sussidi. Gli studenti dell'Uniswa, il principale ateneo dello Swaziland, hanno anche consegnato una petizione al ministero per il Lavoro e la sicurezza sociale. Lo scontro riguarderebbe trasferimenti a beneficio di 634 giovani del campus di Kwaluseni, divisa giallo-verde senza una piega ma a rischio abbandono senza sostegno pubblico.
(Red/ Dire)