(DIRE - Notiziario settimanale Esteri) Roma, 12 ott. - "Agli 'Stati fragili' oggi va appena il 6 per cento degli investimenti diretti e allora questo e' un passo importante" spiega alla DIRE Linda McAvan, presidente della Commissione sviluppo al Parlamento europeo.
L'intervista e' l'occasione per fare il punto e guardare avanti. Pochi giorni fa a Bruxelles si e' tenuta la prima riunione dello strategic board dello European Fund for Sustainable Development (Efsd), uno strumento nuovo, architrave dell'External Investment Plan (Eip), il piano Ue per gli investimenti in Africa e nelle regioni interessate dalle politiche di vicinato.
All'incontro di Bruxelles hanno partecipato i rappresentanti dei 27 Stati membri, della Banca europea per gli investimenti (Bei) e del Parlamento Ue. Il Fondo dispone di dotazioni iniziali per tre miliardi e 350 milioni di euro, base per mobilitare fino a 44 miliardi. Gli ambiti d'intervento sono differenti, dalle infrastrutture all'economia digitale, dalle energie rinnovabili all'agricoltura. Di certo, spiega McAvan, siamo all'inizio di un cammino che deve favorire la creazione di posti di lavoro anche e soprattutto nei Paesi d'origine dei flussi migratori.
- Presidente, cosa significa l'istituzione del Fondo? "Che l'Europa si sta muovendo nella direzione tracciata dai summit sul finanziamento dello sviluppo che si sono tenuti nella capitale etiopica Addis Abeba e a New York tenendo come riferimento l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite. C'e' la consapevolezza condivisa che nei Paesi poveri servono piu' investimenti ma anche che un cambiamento vero presuppone iniziative da parte dei privati. Uno degli obiettivi del Fondo e' ridurre i rischi per le societa' interessate a investire, in modo che acquisiscano fiducia: soltanto cosi' nei Paesi poveri potranno arrivare piu' risorse".
A Bruxelles il 28 settembre sono state identificate cinque aree prioritarie per gli investimenti: energia e connettivita'; finanziamenti di micro, piccole e medie aziende; imprese rurali e agroindustria; citta' sostenibili. Cosa accadra' adesso? "Speriamo che gia' a novembre la Commissione europea annunci il primo settore d'intervento, aprendo ai singoli progetti per l'Africa e le aree delle politiche di vicinato. Come Parlamento, insieme con il Consiglio dei ministri dell'Ue, abbiamo fornito il quadro legislativo. Una figura chiave sara' ora un italiano, Roberto Ridolfi, che ha identificato il gap negli investimenti: il divario da superare per creare lavoro e dunque sviluppo". - La nascita del Fondo e' stata preceduta nei mesi scorsi dalla firma di accordi bilaterali tra alcuni governi europei e Stati africani di origine o transito dei flussi migratori. Come giudica queste intese? Non si sta puntando troppo sull'aspetto repressivo? "Come eurodeputati siamo preoccupati che i fondi per lo sviluppo finiscano nella gestione delle migrazioni, contribuendo magari a nuovi muri o finanziando espulsioni. Non dobbiamo spendere per rimpatriare i migranti ma per creare sviluppo".
Lei e' iscritta al Gruppo dell'Alleanza progressista di socialisti e democratici dell'Europarlamento, ma e' anche cittadina britannica. Crede che la Brexit possa penalizzare la cooperazione Ue per l'Africa? "È un rischio reale. Bisogna considerare che oggi la Gran Bretagna e' uno dei pochi Paesi che rispetta la soglia dello 0,7 per cento del Prodotto interno lordo da investire in progetti di sviluppo. Per altro a Londra e' stata approvata una legge che rende questo impegno obbligatorio, mettendolo al riparo dalle variabili politiche del breve periodo. E poi la Gran Bretagna ha un ministro con l'incarico specifico di occuparsi di sviluppo e riduzione della poverta'. Finora e' stata un Paese influente, e spero continuera' a esserlo anche dopo la Brexit. È comunque fondamentale che continui a lavorare con l'Unione Europea, coordinandosi al meglio, anzitutto in Africa".
(Red/ Dire)