6mila rifugiati palestinesi e a edifici si aggiungono nuovi piani
(DIRE - Notiziario settimanale Esteri) Ramallah (Territori palestinesi), 12 ott. - "Il campo profughi di Aida e' un agglomerato sovraffollato di persone, e nonostante cio' le autorita' israeliane negano la possibilita' di estenderlo o di edificare. Alla gente qui non resta che andare verso l'alto, costruendo nuovi piani. I lavori pero' non sono sempre eseguiti a norma, a scapito delle fondamenta. Cosa accadrebbe se cedessero, se arrivasse un terremoto?". E' Amjad Abou Laban a porsi questo interrogativo. Il responsabile Unrwa - l'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi - e' preoccupato per le condizioni in cui i circa 6mila residenti vivono: niente ospedale o centri medici, solo due scuole fondate dall'Unrwa, l'acqua che arriva due giorni la settimana, e restrizioni di movimento che impediscono alle persone di cercare lavoro in Israele o a Gerusalemme Est.
Inoltre, con la costruzione del muro di separazione dallo Stato israeliano, la popolazione ha perso la possibilita' di accedere a una vasta area verde. Ma non si e' perduta d'animo e ha costruito un campo da calcio e un piccolo parco. "Sono le uniche zone ricreative per queste persone", aggiunge Abou Laban, che poi ricorda: "Abbiamo dovuto pero' chiudere la parte superiore con una rete: e' capitato che i soldati sparassero gas lacrimogeni, dovevamo proteggere i bambini".
Le vie di Aida sono strette, rendendo impossibile l'accesso ai mezzi di soccorso. Sono poi sovrastate da cavi elettrici sistemati rudimentalmente, cosa che accresce il pericolo di incendi. L'aria ha un forte odore, perche' la rete fognaria funziona solo in alcune zone. Infine, c'e' il muro in cemento armato alto 8 metri, che chiude un lato del campo. Ma nonostante cio', le strade esplodono di colori: pitture, murales, poesie che cantano la voglia di credere in un futuro migliore. All'ingresso di Aida, una grande porta blu ad arco, sovrastata da una chiave: e' il simbolo di coloro che ancora credono di poter tornare un giorno nella casa lasciata dopo la guerra del 1948.
(Red/ Dire)