Nella guida di 'info cooperazione' focus su impatto progetti
(DIRE - Notiziario settimanale Esteri) Roma, 20 lug. - Il lavoro della cooperazione allo sviluppo si sta rinnovando: "Invece di partire dalla domanda 'Quali azioni dobbiamo mettere in campo per raggiungere i nostri obiettivi?', dovremmo chiederci 'quale cambiamento di medio-lungo periodo vogliamo raggiungere a vantaggio delle popolazioni, e quali sono le pre-condizioni migliori per ottenerlo?' Ecco, la Teoria del cambiamento impone questo cambio di prospettiva".
A parlare alla DIRE e' Elias Gerovasi, fondatore del portale 'Info Cooperazione' e tra gli autori di una Guida sulla Teoria del Cambiamento (Theory of Change - ToC), che in pochissimi giorni ha superato i 2.500 download sul portale web di 'Info Cooperazione'.
Una cifra di tutto rispetto, che dimostra l'interesse degli operatori del settore per un argomento nuovo e molto da "addetti ai lavori", come spiega Gerovasi, ricordando pero' che in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e' gia' abbastanza diffuso.
Ma che cos'e' la teoria del cambiamento? "E' un metodo di pianificazione del lavoro e valutazione dell'impatto del risultato", risponde il responsabile di 'Info cooperazione'. "Ad oggi - prosegue Gerovasi - si rendicontano per bene le spese e le risorse fisiche, ma non l'impatto che il progetto ha comportato sulla societa', soprattutto sul lungo periodo". Gerovasi fornisce un esempio pratico: "Pensiamo alla costruzione di un ospedale: la struttura viene conclusa e tutti sanno dire quanto e' costata, quanti strumenti o personale accoglie. Ma non si ha la capacita' di capire qual e' il suo effetto sulla salute pubblica".
A livello operativo che cosa cambia? "Il lavoro aumenta nella fase di stesura del progetto. Bisogna impostare degli indicatori con cui valutare i cambiamenti che si otterranno. Scrivendoli prima, e' molto piu' facile valutarli una volta concluso il progetto. Ma questo obbliga gli operatori a fare un gran lavoro di presa dei dati, e quindi in termini di risorse economiche il costo aumenta". Infatti, spiega ancora, "spesso bisognera' andare sul posto, perche' nella maggior parte dei casi si lavora in paesi in cui non ci sono dati disponibili perche' lo stato o i privati non ne hanno mai registrati".
Questo non potrebbe scoraggiare i donors? "E' un rischio, ma in realta' e' il donatore stesso ad avere l'interesse a investire in questa fase, perche' cosi' potra' contabilizzare meglio il risultato dell'investimento totale fatto. All'estero questa e' la preoccupazione principale, mentre in Italia non siamo abituati a questa logica". Ma cio' non significa che non ci sia interesse: "Tra le ong se ne parla da diversi anni. In Italia non c'erano strumenti di formazione specifici su questo tema, ecco perche' la nostra guida sta catalizzando l'attenzione. Poi, da settembre o ottobre prossimi partiranno anche i primi corsi specifici... Insomma stiamo passando da una curiosita' alla necessita' di occuparsene, anche da parte dei donatori: l'Aics ad esempio (l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo), sta iniziando a parlarne".
Uno sguardo all'attualita': valutare meglio l'impatto sul lungo periodo puo' aiutarci a uscire dal dibattito 'ong in mare, si' o no'? "Il caso delle ong che fanno soccorso in mare non ha a che fare con l'efficacia, ma contribuisce a porre dei dubbi sulla trasparenza e sulla capacita' delle ong nel raggiungere i risultati. Sicuramente- prosegue l'esperto- l'attivita' di molte organizzazioni potrebbe arginare le partenze, ma io non vedo il nesso in modo cosi' automatico e soprattutto immediato.
Investendo in cooperazione non e' detto che poi le persone smettano di partire. Non e' un nesso dimostrabile, in nessun modo. Pero' certo, e' interessante osservare i passi in avanti che si stanno compiendo sul metodo di lavoro, le strategie e l'impatto finale".
(Red/ Dire)