(DIRE - Notiziario settimanale Esteri) Roma, 13 apr. - "Il mio gruppo continuera' a combattere anche a costo della vita di un milione di persone, se il governo non fara' qualcosa per proteggere le minoranze religiose". E' la sfida che Ata Ullah, il leader di Arakah al-Yaqin, il gruppo di resistenza dei Rohingya, ha lanciato al governo di Aung San Suu-Kyi, che sul tema ha promesso solo a parole di correre ai ripari.
Intervistato per la prima volta da un quotidiano asiatico a inizio mese - attraverso una web call condotta da una localita' sconosciuta - Ata Ullah ha detto: "Se non otteniamo i nostri diritti- ha insistito- un milione, un milione e mezzo... tutti i Rohingya che serve, moriranno. Conquisteremo i nostri diritti.
Combatteremo contro il crudele governo militare". E ha aggiunto: "La notte non possiamo spegnere la luce. Il giorno non possiamo muoverci liberamente, ci sono posti di blocco ovunque. Questa non e' vita".
Ata Ullah poi ha negato con forza ogni possibile legame con gruppi armati islamisti. Tempo fa, l'International Crisis Group rivelo' che il gruppo armato di cui Ata Ullah e' a capo nacque nel 2012 grazie a alcuni combattenti provenienti dall'Arabia Saudita. "Molti giovani uomini si sono aggiunti al nostro gruppo, dopo decenni di soprusi subiti" il suo commento. Nel 2012, quando scoppiarono gli scontri tra i Rohingya e la maggioranza buddista, Ata Ullah invoco' il jihad, 'la guerra santa'. Di recente Zaw Htay, portavoce del governo di Aung, ha chiesto l'aiuto della comunita' internazionale per scovare i legami e i canali di finanziamento tra questo gruppo e i movimenti fondamentalisti in Medio oriente. Ma proprio a inizio aprile, il gruppo di Ata Ullah ha diffuso un comunicato in cui affermava di non percepire dall'esterno ne' denaro ne' armi, e di voler modificare il suo nome in 'Arakan Rohingya Salvation Army': un titolo che si scosta da connotazioni islamiche, dato che il precedente significa 'Il Movimento della fede'.
"Nessuno e' al di sopra della legge. Se ci attaccano, risponderemo allo stesso modo. Da nessuna parte al mondo le violenze vengono tollerate" ha concluso Zaw Htay, in risposta a quanto dichiarato da Ata Ullah.
Pochi giorni fa Aung San Suu-Kyi e' intervenuta ai microfoni della Bbc, dicendo che e' esagerato parlare di pulizia etnica contro i Rohingya. La questione ad oggi e' la principale minaccia alla sua credibilita'. Da un lato pone il suo governo in contrasto diretto coi militari, dai quali ?Naypyidaw non e' riuscita ancora ad affrancarsi del tutto. Dall'altro, rischia di attirarle, come gia' accaduto, le critiche della comunita' internazionale, ansiosa di vederla assumere una posizione di condanna piu' netta e proattiva in difesa dei Rohingya, cosi' come l'ha vista fare in passato, quando si e' battuta per i diritti dei suoi connazionali.
(Red/ Dire)