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Processo Aemilia, la ‘ndrangheta in Emilia adesso fa i conti con 125 condanne

Storica sentenza di primo grado nel processo Aemilia: conclamata l'esistenza di una 'ndrina attiva da anni a Reggio Emilia e nel mantovano.

Pubblicato:31-10-2018 15:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:44

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REGGIO EMILIA – E’ di 125 condanne, 19 assoluzioni e quattro prescrizioni il verdetto pronunciato nel primo pomeriggio in Tribunale a Reggio Emilia dal collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat) che poco dopo le 14 finisce di leggere la sentenza di primo grado per “Aemilia”, il maggiore processo contro la ‘ndrangheta del nord Italia con 148 imputati alla sbarra.

Al netto di alcune riduzioni di pena anche consistenti, (compensate però da condanne più pesanti rispetto a quanto chiesto dall’accusa per altre posizioni) è quindi pienamente conclamata l’esistenza di una ‘ndrina attiva da anni in Emilia e nel mantovano con epicentro a Reggio Emilia, diretta emanazione della cosca Grande Aracri di Cutro, ma autonoma e indipendente da essa.

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IN SENTENZA ABBREVIATO 24 (DURE) CONDANNE SU 24

Alle condanne comminate a 125 dei 148 imputati del processo Aemilia contro la ‘ndrangheta che sono stati giudicati in via ordinaria a Reggio Emilia, se ne aggiungono altre 24. Tanti infatti gli affiliati alla ‘ndrina emiliana, emanazione di quella cutrese legata alla famiglia Grande Aracri che, di fronte ai nuovi reati contestati loro dalla procura antimafia di Bologna (in sostanza l’appartenenza all’associazione di stampo mafioso e l’aver continuato ad agire per favorirla anche dopo gli arresti del gennaio 2015), hanno optato come nel loro diritto per il giudizio abbreviato.

Un fatto che ha portato in sostanza ad uno sdoppiamento del processo reggiano e alla lettura- questo pomeriggio in tribunale- di due sentenze separate (alcune posizioni compaiono in entrambe a seconda dei capi di imputazione per i quali hanno dovuto rispondere nell’uno o nell’altro rito).

Proprio nell’abbreviato è calata la mano più pesante del collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat). Gianluigi Sarcone ad esempio, fratello del capo indiscusso in Emilia Nicolino, è stato condannato nel rito ordinario a tre anni e sei mesi, contro i 18 chiesti dalla Procura.

Uno “sconto” di fatto compensato dalla condanna in abbreviato (16 anni e quattro mesi). Analogo discorso per un altro esponente di spicco della consorteria: Gianni Floro Vito. Per lui erano stati chiesti nel rito ordinario 12 anni, ed è stato condannato a sei, ma nel dispositivo dell’abbreviato è previsto che sconti 14 anni. E’ andata male invece all’imprenditore colluso Pasquale Brescia, che si è visto aumentare in sentenza le pene di entrambi i riti (sei anni in ordinario contro i quattro chiesti dai pm e 16 anni in abbreviato, quando la richiesta era di 14).

Per Eugenio Sergio, parente della moglie del sindaco di Reggio Emilia Maria Sergio c’è una condanna a nove anni in ordinario (ne avevano chiesti 19) e 14 anni nell’abbreviato (come chiesto dalla Dda).

Tra le condanne più severe quella di Michele Bolognino, capozona del parmense, che rimedia 20 anni nel rito ordinario e 17 in quello abbreviato. Per Alfonso Paolini, pierre della cosca grazie alle sue entrature nel mondo sportivo, giudicato solo in abbreviato le porte del carcere si aprono per 15 anni e otto mesi (la Procura ne chiedeva 16).

Messi in ginocchio anche gli imprenditori emiliani collusi con la ‘ndrangheta: tra loro i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, condannati entrambi a quasi 30 anni (tra i due riti) e Omar Costi (13 anni e nove mesi). Nel rito ordinario è infine in evidenza la posizione di Karima Baachaoui, cittadina marocchina infatuata della malavita, oggi latitante, per cui la procura aveva chiesto 16 anni. La donna è stata condannata a 21 anni e 4 mesi, mentre il fratello Moncef Baachaoui a 19 anni di reclusione, contro i 17 che i Pm avevano richiesto.

IN SENTENZA PRIMO GRADO ‘SCONTI’ A PENTITI

Le loro dichiarazioni hanno forgiato gran parte delle tesi dell’accusa e sono stati ritenuti attendibili. Per questo i due “pentiti” del processo Aemilia contro la ‘ndrangheta Salvatore Muto e Antonio Valerio hanno ricevuto nella sentenza di primo grado un consistente sconto di pena rispetto agli anni di carcere inzialmente chiesti dalla Procura.

In particolare per Valerio erano stati chiesti 15 anni e 10 mesi nel rito ordinario più 10 anni in quello abbreviato. Grazie anche ai benefici di legge per chi collabora con la giustizia la condanna è di sei anni e due mesi per i reati contestati in ordinario e cinquer anni per l’abbreviato. Salvatore Muto, che assolto nel rito ordinario rischiava otto anni di carcere nel rito abbreviato, è stato invece condannato in quest’ultimo a quattro anni e otto mesi.

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