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Colombia, torna la violenza: ancora attacchi di paramilitari contro i civili

ROMA - Non si interrompono gli attacchi armati dei gruppi paramilitari in Colombia contro i civili,

Pubblicato:30-12-2017 15:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:18

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ROMA – Non si interrompono gli attacchi armati dei gruppi paramilitari in Colombia contro i civili, nonostante la firma di un Accordo di pace tra il governo e le Farc, e i negoziati ancora in corso con l’Eln. Ieri due volontari di Operazione Colomba, corpo non violento della Comunità Papa Giovanni XXIII, sono stati feriti a San Josè de Apartadò, in Colombia, come spiega una volontaria di Oc presente sul posto in un audio messaggio che sta circolando su Whatsapp, e acquisito dall’Agenzia DIRE.

“Circa mezz’ora fa- spiega la donna- quattro uomini del gruppo paramilitare Ags sono entrati armati con armi corte, uno con un machete, nella bottega della Comunità di pace dove hanno trovato un rappresentante legale, Herman Graciano, già minacciato di morte proprio in queste ultime settimane, insieme a un altro membro del consiglio, intenti a lavorare il cacao. Il loro obiettivo era uccidere proprio loro due“.

Dopo l’ingresso del commando nella bottega, prosegue la testimone,”è nato un tafferuglio durante il quale è partito un colpo di pistola che fortunatamente non ha colpito nessuno. Le persone della Comunità di pace sono riuscite a bloccare e disarmare queste persone. Io ed altri eravamo presenti quindi siamo stati testimoni di quanto è avvenuto insieme ad altri volontari internazionali. Al momento stiamo aspettando l’arrivo della polizia”.


La volontaria quindi chiarisce che il rappresentante legale di Oc è rimasto ferito ad una mano, “fortunatamente in modo lieve”, mentre l’altro ha riportato delle “escoriazioni, insieme a chi è intervenuto per disarmare i membri del commando. Un grandissimo, enorme spavento“, il suo commento.

Quindi lancia un appello: “Nessuno ci ha rimesso la vita, però c’è bisogno di un intervento reale e concreto dello Stato colombiano per fermare queste persone. In Colombia ovunque i difensori dei diritti umani continuano ad essere uccisi. La Comunità di pace ha ricevuto moltissime minacce di morte. Oggi è andata bene, ma dovete aiutarci a rimanere vivi”, conclude.

La Comunità di Pace di San José de Apartadò è nata nel 1997 per proteggere i civili dalle violenze dei gruppi paramilitari, che si contendono il controllo del territorio per portare a termine vari traffici illeciti. Come si legge sul portale di Oc, “è composta da circa 1.500 persone che si impegnano a non partecipare alla guerra in modo diretto o indiretto, a non detenere armi di nessun tipo, e ad astenersi dal dare appoggio alle parti in conflitto”.

I volontari di Operazione Colomba “condividono con la popolazione locale le condizioni di povertà ed i rischi quotidiani, contribuiscono a ridurre la violenza e lo sfollamento forzato accompagnando nel rientro le persone costrette a fuggire, proteggendo i leader ed i membri della Comunità di Pace nei loro spostamenti, permettendogli così di portare avanti le attività quotidiane”.



L’ATTIVISTA ALLA ‘DIRE’: PACE LONTANA NONOSTANTE ACCORDI

Gli omicidi e le minacce ai difensori dei diritti umani in tutta la Colombia stanno aumentando in modo esponenziale. Gli accordi di pace con le Farc non hanno affatto portato la pace, anzi il Paese sta attraversando un momento drammatico”. Lo denuncia all’agenzia DIRE Laura Milani, coresponsabile di Operazione Colomba (Oc), il corpo non violento della Comunita’ Papa Giovanni, presente a San Jose’ de Apartado’. Milani conferma un dato fornito di recente dai media e rilanciato dalle Nazioni Unite, secondo cui sarebbero 105 gli attivisti morti solo in questo anno che sta per concludersi.

A San Jose’ intanto, nella mattinata di ieri, si è passati dalle parole ai fatti: quattro uomini armati hanno fatto irruzione in un edificio col preciso scopo di uccidere due leader locali, rimasti leggermente feriti. “L’incidente- dice la responsabile Oc- è significativo: apre una finestra su quanto sta avvenendo in tutta la Colombia, e non solo nella regione di Antioquia dove si trovano i nostri volontari”.

Gli sforzi del Governo di stabilizzare il Paese, per oltre 50 anni minacciato dalla presenza delle Farc, secondo Milani non starebbero dando risultati, perché “laddove i guerriglieri si sono ritirati, sono subentrati i gruppi neoparamilitari. E’ necessario che lo Stato riconosca la loro esistenza e porti a termine quel disarmo richiesto negli Accordi stessi”.

Perché colpire una comunità remota come quella di San Jose’? “Perché è una delle poche voci che denunciano apertamente la presenza paramilitare, e a cui oppone una resistenza non violenta, coltivando ad esempio la terra- risponde Laura Milani- E’ per questo che rappresenta una presenza scomoda: nelle ultime settimane si sono intensificate le minacce, sia in modo indiretto – con messaggi di morte affidati ai contadini – che a persone precise, come il leader Herman Graciano”. Era lui, assieme ad un altro responsabile locale, l’obiettivo dell’attacco di ieri.

Quindi Milani lancia un appello: “Noi chiediamo che Bogotà riconosca i gruppi neoparamiltiari e li smantelli, così come previsto dagli Accordi di pace. Sollecitiamo anche la tutela dei difensori dei diritti umani, anche con l’aiuto della comunità internazionale”.

Ieri, da quanto riferisce la Comunità di Pace di San Jose’ di Apartadò – notizia poi diffusa anche dalla Papa Giovanni XXIII – il vice presidente Oscar Naranjo ha promesso alla comunità “di esaminare l’enorme complicita’ della Forza Pubblica presente nella regione di San Jose’ de Apartadò“. Non è questo un riconoscimento di una collusione tra lo Stato e i gruppi armati? “Non saprei, non abbiamo parlato noi direttamente con il vicepresidente Naranjo, ci atteniamo a quanto riportato nel comunicato della Comunità di Pace- chiarisce la responsabile- Noi, in quanto corpo non violento, cerchiamo con la sola nostra presenza di difendere i civili e di alzare l’attenzione il più possibile a livello mediatico”. Ma il fatto che il vicepresidente abbia contattato la Comunità locale sembra un segnale positivo: “vuol dire che qualcosa sta iniziando a muoversi in Colombia. Ma insistiamo nel chiedere che il governo intervenga presto”, conclude Milani.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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