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“No alla riforma Renzi”. La carica dei 50 Costituzionalisti

di Barbara Varchetta, Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali

Pubblicato:29-04-2016 16:47
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:39

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di Barbara Varchetta Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali

Sono parecchio autorevoli i nomi dei costituzionalisti che hanno inteso esprimere pieno dissenso verso la riforma costituzionale imposta dal Governo ed approvata con i soli voti della maggioranza: una modifica strutturale dell’impalcatura costituzionale che non piace ai giuristi (circa 50) firmatari di un documento che critica, punto per punto, le contraddizioni del testo che verrà sottoposto a referendum popolare il prossimo Ottobre.

Tutti docenti universitari o magistrati, i firmatari si dicono preoccupati innanzitutto per le modalità di approvazione del testo che ricalcano un braccio di ferro tra partiti e correnti piuttosto che incarnare i crismi del dibattito/confronto, necessari nella fase di discussione su un tema tanto delicato; appaiono inoltre contrari al significato che il Governo ha inteso imprimere al voto referendario caricandolo di un valore intrinseco rispetto al gradimento sulle attività poste in essere dall’Esecutivo, ulteriore conferma della manipolazione mediatica e comunicazionale operata dalla politica.


Si legge nel documento: “La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica”.

Spostandosi sulle questioni di merito, gli illustri giuristi ritengono poi che l’approssimazione con cui si è inteso superare il bicameralismo perfetto abbia dato vita ad un nuovo Senato senza reali poteri nonché privo delle prerogative essenziali atte alla realizzazione degli obiettivi peculiari di un compiuto regionalismo; la sussistenza di molteplici procedimenti legislativi, in cui il Senato non potrà che avere un ruolo consultivo, non farà altro che amplificare le incertezze ed i conflitti a discapito della tanto declamata celerità dell’iter normativo.

L’aver sottratto competenze finora di esclusivo appannaggio regionale non consentirà, secondo quanto riportato nel documento, il perfezionamento dell’autonomia delle Regioni, contribuendo piuttosto a depauperarle sul piano delle prerogative legislative.

Ed ancora, in tema di razionalizzazione dei costi di funzionamento delle Istituzioni la censura appare piena: “Il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri”.  

E’ su questi temi che si auspica la discussione futura, sul confronto serrato tra il fronte del NO, già ampiamente operativo, e quello dell’ancora inattivo fronte del SI’, nongià su una preferenza diretta ad approvare o bocciare il premier Renzi ed il suo governo.

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