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E’ sbagliato far dormire i bambini di 10 anni nel lettone. Castelbianco: “Non aiuta a raggiungere un’autonomia affettiva”

La difficoltà ad abbandonarsi al sonno è sempre più frequente, perché? “Vivono molte tensioni durante il giorno che li portano a vivere con agitazione la fase che precede il sonno. Avvertono l’addormentamento con una sorta di paura di perdere il controllo e la vigilanza dell’ambiente”

Pubblicato:29-02-2016 11:00
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:03

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Si toglie il pannolino a un anno, ma si lascia il biberon fino a 8 anni. “È un paradosso. Da un lato si spinge verso un’autonomia forzata e dall’altro verso il mantenimento di un comportamento legato all’infanzia. Dare il biberon a 8 anni o far dormire il bambino fino a 9-10 anni nel lettone dei genitori, non lo aiuta a raggiungere serenamente un’autonomia affettiva. Cosa ben diversa da quella operativa che facilmente ha già”. Commenta così Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva, “l’ottimo studio sul sonno dei bambini”, realizzato dalla Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) e della Società delle cure primarie pediatriche (Sicupp), da cui “emergono numerosi elementi positivi”.

Castelbianco è consapevole che il sonno dei più piccoli è presentato spesso come un problema, tuttavia per ben inquadrarlo è necessario fare un passo indietro e riflettere sulle abitudini familiari. “Trent’anni fa ero il primo a spingere le mamme a far dormire i figli nel loro lettino per aiutarli a raggiungere una propria autonomia e ad avere rispetto dello spazio dei genitori. Allora, però, le donne erano molto più presenti- chiosa il terapeuta-, trascorrevano più tempo a casa e, di conseguenza, avevano un maggiore contatto con i figli. Oggi la situazione sociale è cambiata: le madri partecipano al fondamentale reddito familiare e lavorano spesso fino al pomeriggio avanzato. I figli vengono lasciati al nido, o a scuola, la mattina presto per rincontrare la madre solo a giornata conclusa”.


Da nuove esigenze sociali nascono nuove figure familiari. Infatti, questa è l’era della ‘mamma del week end’ assente nei giorni feriali. Così, per arginare la solitudine che si crea nei cinque giorni lavorati, “consiglio alle donne di ‘invitare’ il figlio a dormire con loro in una delle cinque sere. Il senso è permettere che ci sia sempre un contatto corporeo condiviso-precisa lo psicoterapeuta- senza rinunciare a sviluppare la capacità del bambino di separare il proprio spazio da quello dei genitori. Il piccolo conquisterà una serena tranquillità e non dovrà ricorrere a pianti notturni o a fughe verso la camera dei genitori per sentirsi ben accetto”.

La difficoltà ad abbandonarsi al sonno è sempre più frequente, perché? “Vivono molte tensioni durante il giorno che li portano a vivere con agitazione la fase che precede il sonno. Avvertono l’addormentamento con una sorta di paura di perdere il controllo e la vigilanza dell’ambiente”.

Come si manifestano? “Vanno dal digrignare i denti (bruxismo), al parlare nel sonno e strillare, fino al pavor notturno o, addirittura, al sonnambulismo. Hanno bisogno di sentirsi rassicurati e rasserenati, per questo motivo invito sempre uno dei genitori ad accompagnare il figlio al sonno raccontandogli una favola o una storia- aggiunge Castelbianco- per condividere in armonia l’ultimo periodo da svegli”. Più volte “è stato dimostrato che leggere le favole ai bambini previene non solo i disturbi del sonno, perché li rassicura, ma anche quelli di apprendimento perché stimolano il minore ad entrare nel magico mondo della lettura e della fantasia. Spesso i figli chiedono di ascoltare la stessa favola ogni sera- ricorda lo psicologo- e, anche se può risultare noioso ai genitori, è un diritto dei bambini”.

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