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L’ambasciatore Miscia alla DIRE: “Angola terra di opportunità” VIDEO

La ricetta: "Voli, visti e valuta per superare la crisi del petrolio"

Pubblicato:28-03-2017 14:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:03

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LUANDA (Angola)- “Bisogna far capire quanto si è evoluta l’Angola” esclama Claudio Miscia, ambasciatore d’Italia a Luanda, deciso a rovesciare prospettive e sfatare luoghi comuni. Con la DIRE parla offrendo fave di cacao aromatizzate al caffè di Sao Tomé e Principe, un’altra ex colonia portoghese bagnata dall’Atlantico.

La confezione arriva dalle piantagioni di Claudio Corallo, artigiano fiorentino del cioccolato tropicale. Solo uno spunto, per l’ambasciatore. Che cita un altro italiano, Filippo Pigafetta, autore nel 1591 della ‘Relatione del reame di Congo et circonvicine contrade’, la prima descrizione delle terre oggi parte dell’Angola.

Poi, con l’invito a guardare il mondo a testa in giù, da Sud a Nord, si finisce a parlare di Antonio Manuel Ne Vunda: nel 1607, dopo essere stato sequestrato dai pirati e costretto dai venti a far tappa in Brasile, il “negrita” divenne il primo diplomatico africano accreditato presso la Santa Sede.


A inviarlo in missione era stato tre anni prima il re del Kongo, Alvaro II, che sperava nel Papa per arginare l’invadenza dei portoghesi. Per avere un’idea di chi fosse l’ambasciatore partito dall’odierna Angola, basta recarsi al battistero della Basilica di Santa Maria Maggiore. Qui, sul colle dell’Esquilino, si trova un busto singolare e forse anche bizzarro, scolpito con pietra nera, nella quale sono stati incastonati occhi bianchissimi. Trascorsi quattro secoli, mettere in discussione i luoghi comuni resta difficile, riprende l’ambasciatore: “L’immagine di un Paese ci mette tempo a trasformarsi; se su Google cerchi ‘Angola’ spuntano le fotografie della guerra civile, mentre quella di oggi è una fase di crescita e sviluppo”.


Dalla fine del conflitto sono trascorsi 15 anni, vissuti senza tregua. Con il boom petrolifero, la crescita del Prodotto interno lordo è stata a due cifre. Mentre a Luanda, dalla ‘cidade baixa’ alle colline che abbracciano la Baia, sono sorti grattacieli e hanno aperto cantieri. Uno sviluppo, certo, messo ora alla prova dal calo delle rendite petrolifere: il prezzo del barile, la voce principale dell’export angolano, è passato in due anni da 160 a 50 dollari.

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“Prima si facevano palazzi in stile Dubai mentre adesso i lavori sono fermi e si aspettano tempi migliori”, dice l’ambasciatore. Convinto che però, pur in un contesto di crisi, emergano segnali incoraggianti: “L’Angola è appena diventata il primo produttore di greggio dell’Africa subsahariana, superando la Nigeria, e con il vantaggio ulteriore di dover distribuire rendite e benefici a 25 milioni di abitanti, non a 200”. Se l’export petrolifero non ha cancellato il divario tra ricchi e poveri, un calo delle rendite potrebbe favorire una diversificazione dell’economia, a partire dalle abbondanti risorse idriche e da un’agricoltura tropicale capace di quattro raccolti l’anno.

A incoraggiare è anche la politica, come spiega ancora l’ambasciatore Claudio Miscia alla DIRE: “Ad agosto si terranno le elezioni e, dopo 37 anni da presidente, José Eduardo dos Santos non si è candidato. Il suo è uno dei rari esempi di presidente africano longevo che decide di lasciare”. Un anno cruciale, dunque, che promette cambiamenti. Come quelli preannunciati dal ministro della Difesa Joao Lourenco, capolista del partito al governo a Luanda dall’indipendenza e dunque probabile futuro presidente. A febbraio, nel suo primo comizio, ha detto di voler aprire il Paese semplificando le procedure per il rilascio dei visti a turisti e imprenditori stranieri. “È un annuncio importante”, sottolinea l’ambasciatore: “insieme con voli aerei e valuta, i visti sono una delle tre ‘v’ che oggi ostacolano le attività delle imprese italiane in Angola”.

In genere per ottenere un permesso di viaggio servono due passaggi a Roma. E due giorni, dopo la cancellazione del volo diretto che collegava Roma a Luanda in sette ore, dura pure il trasferimento. Poi c’è la crisi valutaria conseguenza del crollo del barile: “Puoi fare affari grandiosi ma oggi vieni pagato in kwanza, che non è una divisa accettata sui mercati internazionali, e di fatto non puoi portar via gli utili”. Avvicinarsi all’Angola è complesso, sottolinea Miscia, “ma le difficoltà vogliono anche dire alla fine un premio maggiore, perché chi arriva prima trova meno concorrenza e realizza più profitti”.

Un assioma che le imprese italiane avrebbero dimostrato di capire: “Negli ultimi due anni”, calcola l’ambasciatore, “su 30 aziende attive in Angola se ne sono andate solo una o due”. Nel conto c’è anche Eni, che a disimpegnarsi non ci pensa affatto. Al contrario. Questo mese è stato avviato il progetto East Hub, parte del blocco 15/06 del quale il gruppo italiano detiene una quota del 36 per cento. E a largo dell’Angola ha ormeggiato la ‘Armada Olombendo’, unità galleggiante di produzione e stoccaggio in grado di funzionare allo stesso tempo da piattaforma e da petroliera. A regime dovrebbe valere 80 mila barili di olio equivalente al giorno, pressappoco il cinque per cento della produzione angolana. E anche qui, secondo l’ambasciatore, l’Italia va controcorrente nella direzione giusta: “Eni sta sviluppando la produzione mentre le altre sei compagnie straniere la stanno diminuendo. E poi, il giorno dell’inaugurazione, a bordo dell’Armada c’erano tantissimi ingegneri angolani”.

di Vincenzo Giardina, giornalista

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