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L’intervista a Maura Cossutta: dal rinascimento femminista alla maternità surrogata

Un'intervista a Maura Cossutta: medico, ex parlamentare, impegnata nel sociale e al fianco delle donne migranti

Pubblicato:27-11-2018 14:09
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:50
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ROMA – Gli umori della piazza, la tipologia delle donne incontrate, i sentimenti, le richieste e le attese della piazza che hanno animato ‘Non una di meno’. Abbiamo chiesto di parlarne, in un’intervista, a Maura Cossutta: medico, ex parlamentare, impegnata nel sociale e al fianco delle donne migranti. Una vita sul campo per i diritti delle donne.

– Dagli USA all’Italia si parla di un rinascimento del femminismo. Era questa l’aria che si respirava sabato nella piazza della manifestazione?
‘Si’, ‘rinascimento del femminismo’ mi piace, rende esattamente l’idea di quello che sta succedendo. Infatti dall’America Latina all’Italia il movimento ‘Non una di meno’ sta esprimendo una capacita’ straordinaria non solo di forza e di mobilitazione, ma anche di grande radicalita’, di opposizione politica. Come non succedeva da tempo. Anche da noi infatti il femminismo e’ stato capace di battaglie storiche, che hanno conquistato diritti e liberta’ per tutte le donne, ma ha anche avuto momenti di afasia, a mio parere troppo spesso diviso tra spinte emancipazioniste e teorizzazioni ontologiche della differenza di genere. Sabato invece in piazza le ragazze di ‘Non una di meno’ hanno con naturalezza tenuto insieme richieste simboliche e concretissime, gridando contro la violenza e il patriarcato, ma contemporaneamente contro il precariato e le politiche liberiste. Gli slogan e le parole d’ordine erano contro i femminicidi e insieme contro il ddl Pillon, il decreto Salvini, collegando coerentemente sessismo e fascismo. Sta a mio parere maturando un inedito movimento che parla finalmente di femminismi al plurale, o meglio di un femminismo politico, ‘intersezionale’, che nomina i nessi tra il genere le altre differenze, di classe, di razza. Un femminismo da seguire’.


– Cosa pensa del movimento ‘MeToo’? Ha avuto un’influenza sulla piazza di sabato?
‘Il Movimento ‘Metoo’ ha avuto e continua ad avere il grande merito di aver portato alla visibilita’ pubblica i tanti, tantissimi episodi di molestie e violenze sulle donne, il nesso tra sessualita’ maschile e potere, promuovendo una presa di consapevolezza di tantissime donne sulla propria vita. Quello che era indicibile, e’ divenuto insomma parola pubblica, provocando un vero tsunami tra i cosiddetti ‘intoccabili’. Il movimento ha avuto quindi una grande valenza di trasformazione, sovvertendo pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni che hanno storicamente, socialmente e culturalmente giustificato il diritto d’accesso maschile ai corpi delle donne. Ma ha anche avuto limiti che, dal mio punto di vista, e’ corretto riconoscere e nominare. Il discorso sarebbe lungo, vorrei solo evidenziare che il limite intrinseco sta forse proprio nel fatto che al centro ci sono le denunce delle singole donne, cioe’ l’ ‘individualizzazione’ delle denunce e dei singoli colpevoli, depotenziando la carica di critica strutturale al fenomeno e invece consegnando le richieste di giustizia ai processi mediatici. Negli USA un certo rischio di evocare gogne, criminalizzazione, giustizialismo, si e’ intravisto. Ma in Italia il discorso e’ completamente diverso.
Paradossalmente direi diverso. Infatti qui da noi, nonostante il berlusconismo abbia abbondantemente evidenziato l’evidenza del fenomeno sessualita’ maschile/potere, e’ avvenuto che il processo si sia piu’ facilmente fatto alle vittime e non ai responsabili.
Una vera levata di scudi insomma, che ha evidenziato quanta resistenza ci sia ancora nella societa’ italiana. Nella piazza di sabato si e’ rappresentata invece la voce delle donne, senza giustificazionismi sociali, e direi che il movimento ‘MeToo’ si e’ sostanziato di ulteriore carica di protesta contro ogni forma di patriarcato’.

– Che tipologia di donne affollavano la piazza?
‘Nella piazza c’erano tantissime giovani, bellissime, creative, arrabbiate e consapevoli, ma c’erano anche donne della mia generazione, che hanno visto nascere il femminismo, che hanno fatto tutte le battaglie per i diritti e le liberta’ delle donne, che hanno quasi passato il testimone. Su un bellissimo striscione era scritto: ‘Siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare’. Ma c’erano anche tanti ragazzi e uomini, esprimendo una valenza inedita di questo movimento, che rivendica il protagonismo femminile ma che non considera come irrinunciabile il separatismo’.

– Su Roma quanto ha influito la vicenda della Casa Internazionale delle Donne?
‘Anche io stavo dietro lo striscione della Casa Internazionale delle donne e con tantissime altre donne del corteo (enorme) gridavamo lo slogan che ormai e’ divenuto simbolo della lotta della Casa contro l’attacco della giunta Raggi: ‘La Casa siamo tutte’. Questa lotta e’ stata molto sentita nella nostra citta’ e quest’estate la manifestazione in piazza del Campidoglio contro la mozione Guerrini e’ stata la prima vera grande manifestazione di opposizione. Lo sfratto alla Casa (i primi di agosto e’ stata revocata la concessione della convenzione) e’ stato considerato l’atto concreto e simbolico di azzeramento di un’intera storia, quella della stagione di emancipazione e di conquiste di diritti sociali e civili degli anni settanta, e anche segno di un’idea di societa’, di democrazia, di partecipazione. L’attacco alla Casa infatti e’ stato considerato parte integrante dell’attacco a tutte le forme di auto organizzazione sociale, di ‘spazi liberati’. La volonta’ di considerare i servizi offerti dalla Casa come servizi ‘neutri’ da mettere a bando pubblico e’ stata vissuta come la rimozione dell’esperienza, del pensiero e delle pratiche femministe, contro ogni raccomandazione internazionale che considera l’approccio di genere come indicatore di efficacia dei servizi ‘gender orientati’. La nostra presenza quindi all’interno del corteo e’ stata motivo di diffusa e consapevole solidarieta’, per la difesa della Casa come luogo simbolico e politico del femminismo’.

– Se dovesse individuare un’emergenza del movimento femminista attuale, la vedrebbe nella violenza domestica?
‘E’ ormai noto che la violenza domestica non e’ fenomeno emergenziale, ne’ tanto meno questione ‘securitaria’, ma e’ purtroppo fenomeno strutturale, insito nella cultura delle nostre societa’, che attraversa la quotidianita’ delle nostre vite, delle nostre famiglie. In questo senso e’ un obiettivo strategico del movimento femminista, che chiede politiche, servizi, risorse per garantire quel Piano antiviolenza che il movimento Non una di meno ha indicato fin dall’anno scorso. Ma a mio avviso e’ piu’ in generale la lotta al patriarcato, nelle sue forme e nei suoi contenuti, che rappresenta secondo me oggi un’emergenza per il movimento femminista. Un patriarcato come prodotto del nuovo pensiero delle destre populiste che si ammantano di modernita’ ma che rincorrono la restaurazione. In tutto il mondo. Servono politiche, ma serve soprattutto un pensiero. Il movimento femminista oggi deve combattere le disuguaglianze che sono in aumento e che continuano a evidenziare un indecente gap di genere per tutti gli indicatori, promuovendo un welfare a misura di donna’ e politiche del lavoro contro la precarieta’, rivendicando l’uguaglianza non solo delle opportunita’ ma dei risultati.
L’emergenza oggi e’ quella di garantire risposte concrete ai bisogni di autonomia e di liberta’ di tutte le donne, non dimenticando le donne migranti’.

– Cosa pensa della campagna Arcigay che ha rivendicato, a proposito della giornata contro la violenza, l’autodeterminazione di poter scegliere la maternita’ surrogata?
‘Sulla maternita’ surrogata come e’ noto la discussione nel movimento femminista e’ del tutto aperta. Anzi, rilevanti sono anche le distinzioni, le divisioni. La gestazione per altri pone riflessioni vere che secondo me non vanno rimosse, ma neppure banalizzate. La questione insomma e’ piu’ complessa della dicotomia offerta nel dibattito pubblico tra libera scelta nei paesi occidentali e scelte ‘costrette’ nei paesi non sviluppati. O se la madre ‘surrogata’ debba mantenere o meno un contatto con la famiglia ‘committente’. La realta’, oltre che la verita’, e’ che la gestazione per altri, come le nuove tecnologie a partire dalla procreazione assistita, permette agli individui di diventare genitori ,rappresentando quindi una pratica che acquisisce una valenza sociale. E la pratica non riguarda solo le coppie gay cioe’ la condizione di omogenitorialita’ maschile, anzi la stragrande maggioranza delle coppie che si rivolgono a questa pratica 9 volte su 10 e’ eterosessuale. In riferimento alla campagna di Arcigay, penso allora che, certo, possa rientrare nella battaglia piu’ generale per l’autodeterminazione e la liberta’ di scelta di tutti, e quindi contro la violenza rappresentata da norme e divieti che la limitano’.

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