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Smog e neonati, a Trieste parte studio su cinque regioni ‘pilota’

Verranno studiati i primi mille giorni di vita dei bambini, dal concepimento ai due anni di vita

Pubblicato:27-03-2018 15:12
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:41
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TRIESTE – Quanto pesano le esposizioni ambientali sulla salute di mamma e bambino nei suoi primi mille giorni di vita? Ad occuparsene sarà uno studio nazionale, coordinato dall’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, che vede protagoniste cinque regioni italiane pilota: Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Toscana, Lazio e Sicilia.

FOCUS SUI PRIMI 1.000 GIORNI DI VITA DEL BAMBINO

I giorni che vanno dal concepimento al secondo anno di vita del bambino sono quelli “fondamentali- spiega il pediatra epidemiologo nonché responsabile scientifico Luca Ronfani- per il suo benessere futuro perché è in questi anni che si pongono le basi per la salute mentale, cardiometabolica e respiratoria. L’esposizione precoce a fattori chimici, fisici e, in genere, a determinanti ambientali spesso ha un impatto negativo sull’evoluzione del feto e del neonato, e ne influenza lo sviluppo cognitivo e fisico in epoche successive”.

OBIETTIVO E’ STUDIARE ESPOSIZIONE A INQUINANTI

Il progetto, biennale, è finanziato dal ministero della Salute. “Questo studio- prosegue Ronfani- nasce dalla necessità di disporre di dati più precisi rispetto al passato sul grado di esposizione a inquinanti ambientali, soprattutto atmosferici, da parte di donne incinte e neonati. Le informazioni che ricaveremo dopo l’analisi dei dati serviranno ai decisori politici per impostare politiche sanitarie più mirate negli anni a venire”.


Nel dettaglio si punta a stilare una mappa del carico di esposizione ambientale delle donne in gravidanza e dei neonati fino a 24 mesi raccogliendo e organizzando le informazioni in modo sistematico su un portale dedicato a disposizione degli operatori sanitari in forma tecnica, mentre sezioni più divulgative saranno accessibili alla popolazione e serviranno a sensibilizzare i cittadini sui rischi derivanti dall’esposizione agli inquinanti ambientali.

SARANNO MONITORATE LE AREE CONTAMINATE

Lo studio prevede anche l’allestimento di un protocollo di monitoraggio della popolazione che abita nei cosiddetti siti di interesse nazionale (Sin) ossia aree contaminate classificate come pericolose dallo stato e che necessitano di bonifica: in Friuli Venezia Giulia i riflettori si accenderanno su Trieste e sulla Laguna di Grado e Marano in provincia di Gorizia, in Sicilia sui siti di Milazzo/Valle del Mela e Augusta/Priolo mentre per il Lazio la zona da esaminare sarà quella di Valle del Sacco.

“Le cinque regioni pilota– puntualizza ancora Ronfani- matureranno un’esperienza e metteranno a punto protocolli che potranno essere usati anche in altre aree del Paese”.

SI PARTE DAL PROGETTO ‘PICCOLI PIU’

Circa le modalità di ricerca, queste si fonderanno essenzialmente sulla georeferenziazione e sull’analisi molecolare. Il progetto si avvarrà dei dati e dei campioni biologici raccolti nell’ambito di un progetto precedente, la coorte di natiPiccolipiù” (progetto di sorveglianza epidemiologica finanziato e promosso dal Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie, organismo del ministero della Salute) che ha reclutato più di 3mila nuovi nati tra il 2011 e il 2013.

VERRANNO UTILIZZATI I DATI DEI SATELLITI

In che modo? “Usando dati satellitari a elevata risoluzione spaziale e temporale i territori in esame verranno suddivisi in griglie di un chilometro- riferisce ancora Ronfani- per ottenere stime più precise degli inquinanti ambientali e conoscendo l’indirizzo dei partecipanti allo studio, dunque la vicinanza ad autostrade o ad aree verdi, sarà possibile ascrivere a ciascuna griglia -e dunque alla presenza/assenza di particolari inquinanti- ogni coppia mamma-bambino”. Ma non solo. “Campioni di sangue da cordone ombelicale e venoso prelevati in momenti diversi alle donne e ai bambini della coorte Piccolipiù serviranno a individuare alterazioni molecolari indicative di esposizione ambientale nociva”.

Aggiunge il responsabile scientifico: “L’esposizione ad agenti chimici e fisici può modificare l’attività dei geni, attivandoli o silenziandoli in momenti sbagliati, senza che vi siano reali alterazioni nella sequenza di basi di Dna. Modifiche epigenetiche come la metilazione, cioè l’aggiunta di un gruppo chimico al Dna, possono avere impatto sulla salute specie se si verificano in età precoce”. Oltre alla metilazione del Dna, i ricercatori esamineranno la lunghezza dei telomeri, cioè le estremità dei cromosomi che, già alla nascita, sono diversi da individuo a individuo, forse come conseguenza al carico di esposizione vissuto dal feto durante la vita intrauterina.

Conclude Ronfani: “I dati che raccoglieremo serviranno a identificare aree di priorità e a mettere a punto proposte di intervento mirate a ridurre il carico di esposizione ambientale su madri e neonati e ciò consentirà di avere un impatto positivo sulla salute della popolazione materno-infantile nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo, il cosiddetto effetto lifetime”.

di Elisabetta Batic, giornalista



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