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A Bologna si restaura il sarcofago egizio di Unmontu. E i curiosi prendono le ferie

Unmontu era un funzionario egiziano vissuto tra l'ottavo e il settimo secolo avanti Cristo, l'epoca egizia è quella della 25esima dinastia

Pubblicato:25-10-2017 14:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:49

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BOLOGNA – Il Museo civico archeologico di Bologna si prepara all’assalto degli appassionati di antico Egitto e di complicate tecniche di restauro. Il motivo? Un nuovo cantiere aperto, a portata di visitatore, per il recupero conservativo del sarcofago di Unmontu, funzionario egiziano vissuto tra l’ottavo e il settimo secolo avanti Cristo. E non si scherza: “Con il restauro aperto cerchiamo di coinvolgere il nostro pubblico. Ci sono persone che prendono le ferie e stanno una settimana intera a seguire le operazioni”, racconta sulla base delle precedenti esperienze Paola Giovetti, responsabile del Museo, nel corso della presentazione dell’intervento che si è svolta ieri”.

IL SARCOFAGO COME I CANTIERI, ‘UMARELLS’ RESTANO INCOLLATI PER 8 ORE AL GIORNO

“E’ un po’ come per gli “umarells”, continua Giovetti, citando gli anziani diventati famosi a Bologna per passare lungo tempo ad osservare i cantieri stradali. Solo che in questo caso non si lavora con martelli pneumatici ed escavatori, ma con delicati pennelli e strumenti ad altissima tecnologia degni della più moderna sala operatoria. La curiosità è tale che a volte le operatrici del Museo, riferisce sempre Giovetti, pensano bene di avvisare la direzione “perchè ci sono persone che restano anche otto ore al giorno davanti al box“.


Scena che si prevede possano dunque ripetersi per il restauro del sarcofago di Unmontu, che rientra nel programma biennale di “Restituzioni“, il progetto ideato e curato da Intesa San Paolo per il restauro di opere appartenenti al patrimonio artistico pubblico. La proposta presentata dal Museo civico per la 18esima edizione del progetto è per l’appunto il restauro conservativo del “sarcofago antropoide ligneo” attribuibile all’epoca della 25esima dinastia. Il manufatto arrivò sotto le Due torri attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi.


IL SARCOFAGO ARRIVO’ A BOLOGNA NEL 1861

Sin dal suo approdo a Bologna, nel 1861, “questo sarcofago attirò l’attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi– racconta il museo- per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio”. Oggi, però, le condizioni conservative del sarcofago sono precarie (infatti non è tra le opere esposte) e quindi si è reso necessario un nuovo restauro dopo quello di una cinquantina di anni fa.

PRIMA DEL RESTAURO E’ STATO STUDIATO AI RAGGI X DA STUDIOSI PROVENIENTI DA TUTTA ITALIA

Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo attraverso uno studio conoscitivo condotto sotto la direzione di Daniela Picchi, egittologa del Museo, a cura del consorzio Conservazione e restauro di opere e monumenti d’arte (Croma) di Roma, con il supporto di numerosi esperti provenienti da vari atenei e istituzioni: le Università di Bologna, di Urbino, del Salento e di Modena e Reggio Emilia, il Cnr e la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta. In particolare, “accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio– spiega il Museo- sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive”. Verifiche che hanno permesso di individuare materiali, tecniche esecutive ed interventi conservativi di epoca moderna.

I LAVORI PROSEGUIRANNO FINO A DICEMBRE

Il restauro proseguirà fino a dicembre e, in seguito, il sarcofago potrà trovare spazio all’interno del percorso espositivo del Museo. Per il 18 febbraio è prevista una conferenza aperta al pubblico per la presentazione degli esiti dell’intervento.


IL SARCOFAGO SARA’ ESPOSTO ALLA VENARIA DI TORINO CON ALTRE 200 OPERE ‘SALVATE’

Successivamente, il sarcofago di Unmontu (insieme ad altre 200 opere salvate con il progetto “Restituzioni”, provenienti da 17 regioni) sarà esposto alla Venaria Reale di Torino, nell’ambito di una mostra organizzata da Intesa Sanpaolo che sarà visitabile da marzo a settembre. Intanto, grazie al cantiere aperto “si racconta come si fa la restituzione di un’opera che era stata sottratta a chi visita il museo e sappiamo per le precedenti esperienze che c’è una grandissima curiosità“, sottolinea Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei: un modo per “far capire che un museo che ha collezioni permanenti è qualcosa di diverso da una sala esposizioni”.

PER IL MUSEO E’ MOMENTO MAGICO, VIAVAI DI TECNICI

Un intervento del genere crea un “momento magico”, sottolinea Giovetti, perchè si produce un vero e proprio “andirivieni di tecnici” e il fatto di “vedere un museo così vivo è uno dei regali più grandi che si possono avere nella nostra professione”. La parte più delicata? Quella diagnostica, “perchè ci permette di capire i problemi che hanno portato alla necessità di un restauro– spiega Picchi- e perchè bisogna mettere insieme staff con linguaggi e metodologie diverse che devono muoversi all’unisono”. Il progetto dimostra che “si può fare business anche con una spiccata e dichiarata sensibilità sociale”, sottolinea Tito Nocentini, direttore per Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo e Molise di Intesa San Paolo.

AI RESTAURATORI LA SCELTA SUL DESTINO DELLA ‘BARBA’

“Trovare uno sponsor per restaurare la Cappella Sistina è relativamente semplice, ma meno semplice- rimarca Silvia Foschi, responsabile Iniziative culturali di Intesa- è entrare nelle maglie delle esigenze del patrimonio meno conosciuto, ma non meno importante per la storia del territorio a cui appartiene”. Curiosità: i restauratori valuteranno se mantenere la barba oggi presente sul sarcofago, che si è scoperto non essere quella originale.

di Maurizio Papa, giornalista professionista

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