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Decreto Salvini, l’allarme dei centri Sprar: “Così rischiamo il naufragio”

Intervista ad Alessia Barbiero, coordinatrice dello Sprar Re.Co.Sol. di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria)

Pubblicato:25-09-2018 17:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:36

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ROMA – “Di fatto non c’è già più una politica dell’accoglienza, siamo alla chiusura dei porti quindi all’inaccettabilità di chiunque arrivi da richiedente. Con questo decreto si depotenzia il sistema dell’accoglienza per non farlo più esistere, creare caos, perpetrare in eterno il fantasma del nemico, dell’invasore e continuare con una politica che parla alla pancia del Paese, a discapito dei più deboli. Con l’abolizione del permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari, poi, crescerà il numero dei clandestini, un aspetto paradossale perché non crea sicurezza ed è punitivo nei confronti dei richiedenti asilo”. A parlare all’agenzia di stampa Dire è Alessia Barbiero, coordinatrice dello Sprar Re.Co.Sol. di Gioiosa Jonica, in provincia di Reggio Calabria, uno degli oltre 800 progetti del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati creato a partire dalla legge Bossi-Fini nel 2002, oggi a rischio scomparsa per effetto del decreto Salvini su immigrazione e sicurezza.

COSA CAMBIA COL DECRETO SALVINI

Ad essere inghiottita nel buco nero del dl Salvini, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, oltre a quindici anni di seconda accoglienza – gestita da una rete che oggi conta più di 1.200 comuni, per un totale di 35.881 posti finanziati nel 2018 – è anche la cosiddetta ‘protezione umanitaria‘, fino ad oggi estesa ad una varietà di casi: “Prima potevano accedere alla protezione umanitaria i minori di 18 anni, considerati più vulnerabili rispetto ad altri, persone che avevano problematiche di salute anche leggere, donne incinte o sole con bambini piccoli, nuclei familiari con minori- spiega Barbiero-. Con questo decreto sembra che sarà sostituita da una protezione per ‘casi speciali’, riferita in particolare a persone che hanno problemi di salute, che provengono da zone che hanno subito catastrofi naturali, o che si sono distinte per meriti civili. Di fatto si esclude una fetta importante di richiedenti e si verifica una compressione enorme del diritto, se si considera che nel decreto c’è anche l’esclusione dei richiedenti asilo dal registro anagrafico”.

Un aspetto che avrà ricadute immediate sull’accesso alla residenza, da cui derivano a cascata una serie di diritti, che, in questo caso, verranno negati: “Accanto alla cancellazione della protezione umanitaria è la lesione più grave del diritto- sottolinea la coordinatrice dello Sprar di Gioiosa-. Dal diritto alla residenza infatti deriva il diritto alla salute, allo studio, alla permanenza in un luogo per ottenere in futuro la cittadinanza”.


QUALI CONSEGUENZE?

Dalla “creazione di ghetti” alla dispersione dei migranti, da una complessiva riduzione dei diritti al possibile aumento di fughe da Cas e Cara che progressivamente accoglieranno i richiedenti asilo. Queste le conseguenze che a breve, secondo Alessia Barbiero, la popolazione vedrà sui territori, in cui potrebbe aumentare il numero degli irregolari: “Gli effetti saranno visibili- sottolinea-. Alcune zone delle nostre città e dei nostri paesi saranno destinate ad ospitare strutture con centinaia di migranti che vivranno una situazione di forte riduzione dei diritti, perché alla retrocessione del sistema Sprar corrisponde una riduzione dei finanziamenti, quindi una compressione dei servizi. Potrebbero anche verificarsi più fughe dai centri, perché quando non si vivono condizioni di dignità si tende a fuggire per cercare fortuna altrove, anche fuori dai confini italiani. Si otterrà quindi un effetto paradossale: minore sicurezza, più irregolarità”.

Un decreto “peggiorativo” per la coordinatrice dello Sprar del borgo reggino, perché “mette in difficoltà oggettiva i richiedenti asilo” e “penalizza un sistema di accoglienza che nella relazione al Parlamento del 14 agosto il ministro Salvini aveva definito come un’eccellenza”. Ad essere favorito sarà il sistema della prima accoglienza, quella “emergenziale, dove più spesso si sono verificate situazioni di disagio” a scapito della seconda accoglienza, “più rigorosa e controllata dal punto di vista dei diritti e dal punto di vista economico, grazie alla rendicontazione puntuale di tutte le spese”. Per Barberio “tutti dovremmo sentirci sotto attacco” perché sotto attacco non è solo un sistema d’accoglienza ma “i valori fondanti della nostra democrazia”.

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COME FUNZIONA UNO SPRAR

“Allo Sprar accedono tutti colori i quali avevano fatto richiesta asilo o avevano già superato l’audizione in commissione e avevano ottenuto la protezione. Un sistema che consente l’accesso a servizi di livelli superiori, con obiettivi di inclusione abitativa, lavorativa e sociale e una maggiore integrazione sul territorio- spiega Barbiero- Questo decreto elimina questa parte dell’inclusione sociale, la riduce ad una caratteristica di cui possono godere solo i titolari di protezione mentre il richiedente resta in un limbo eterno di assenza di diritto o di diritti molto ridotti”.

Diverse le figure coinvolte nella gestione dei progetti, che prevedono una varietà di funzioni ricoperte da operatori sociali e legali, responsabili di banche dati, rendicontisti e coordinatori. Un mondo di professionalità che negli anni è cresciuto anche in territori economicamente depressi, come la provincia reggina, creando un circuito virtuoso di economia legale.

“Con gli Sprar viene favorita l’accoglienza diffusa- chiarisce Barberio-. I migranti vivono in case in affitto, diventando parte integrante del tessuto sociale. Sono garantiti i diritti di seconda generazione, come l’insegnamento della lingua italiana, la tutela legale, l’orientamento sociale e psicologico, il diritto alla salute, in quadro completo di accoglienza. Un aspetto che va salvaguardato perché a naufragare è un intero sistema economico-sociale.

“La cosa che più ci ferisce come operatori dell’accoglienza- racconta Barberio- è che la nostra professione sia stata svalutata, denigrata, anche diffamata a volte, come se fossimo tutti ladri o parassiti pronti a lucrare sulle disgrazie altrui. Invece siamo persone che si sono formate e svolgono questa professione perché hanno imparato a gestire quel tipo di utenza e perché credono nei valori dell’accoglienza e della solidarietà”.

RESTARE AL SUD E CREARE ECONOMIA LEGALE: LO SPRAR DI GIOIOSA

Nato come ampliamento dello Sprar di Riace, lo Sprar di Gioiosa Jonica diventa autonomo dall’1 gennaio 2014 e conta oggi 75 posti in accoglienza diffusa (17 appartamenti), occupati per lo più da ragazzi tra i 18 e i 25 anni, per un totale di un milione di euro l’anno per il finanziamento dell’intero progetto. Corsi di italiano, borse lavoro con aziende e con il comune del reggino, progetti di integrazione nelle scuole del territorio, scambi culinari e musicali. Questo e tanto altro è Re.Co.Sol., da cui in quattro anni di attività sono passati circa 280 migranti: “Una ventina sono rimasti anche dopo la fine del progetto perché hanno trovato una casa e un’occupazione, soprattutto nei settori della ristorazione, dell’edilizia e dell’agricoltura, un risultato grandissimo per un piccolo borgo calabrese- racconta Alessia Barbiero-. A Gioiosa non abbiamo mai avuto episodi di razzismo, non ci sono difficoltà di inclusione. Abbiamo lavorato molto con le scuole in questi anni. Ad esempio con ‘Incontri per caso’, un progetto portato avanti in un istituto privato di Siderno in cui i ragazzi andavano a far lezione di lingua francese a studenti di quell’istituto. E poi tanti incontri con le scuole di Gioiosa, i laboratori musicali. Le reazioni dei ragazzi sono sempre state positive e alcuni di loro vanno a giocare ancora a calcetto insieme ai nostri ospiti”.

Ad oggi, però, lo Sprar di Gioiosa ha ricevuto solo il 30% dei fondi dell’intero anno (2018): “Viviamo da mesi in uno stato di perenne difficoltà economica– sottolinea Barbiero-. Fino al 2017 ricevevamo i finanziamenti in due trances, a metà e fine anno. Il comune ci aiuta come può, ma è tutto il circuito ad essersi inceppato. Voglio ricordare che nei famosi 35 euro al giorno è incluso tutto: lo stipendio per gli operatori, gli affitti degli appartamenti, le indennità per tirocini e borse lavoro, le utenze negli appartamenti, i libri di scuola per chi studia, le spese sanitarie, i pannolini dei bambini”.

Soldi che arrivavano sul territorio per restare e che, con l’approvazione del decreto Salvini, smetteranno di alimentare un sistema che Barberio definisce una “forma di resistenza”: “Gli Sprar dei tanti paesi della zona, da Africo a Sant’Ilario dello Jonio, da Riace a Camini a Caulonia, sono stati una forma di riscatto per tante persone che sono riuscite a restare qui con un posto di lavoro sicuro e legale– chiarisce Barberio-. La resistenza alla ‘ndrangheta la facciamo pure noi, che siamo portatori di buoni valori e cerchiamo di far mantenere le persone in un circuito di legalità. A Rosarno hanno provato ad aprire uno Sprar tempo fa e si sono fatte le barricate, perché la baraccopoli è funzionale. Abbiamo provato a fare qualcosa di pulito per resistere. Ora lo si brucia così e si crea un danno per un territorio che è già depresso”. Rabbia, amarezza, dispiacere. Tra gli operatori Sprar della zona, che si sono riuniti oggi a Reggio Calabria per discutere del decreto Salvini, prevale un sentimento di scoramento: “C’è rabbia perché non si capisce come si possa da un momento all’altro di attuare strategie politiche di cui si fatica a trovare il senso– conclude la coordinatrice del progetto-. C’è amarezza perché il lavoro fatto è stato buttato via. E c’è dispiacere perché le percentuali del decreto Salvini per noi hanno un nome, un cognome e una storia. Sarà un impoverimento, economico ma soprattutto valoriale, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di ricchezza”.

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