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Piccole scariche elettriche alla testa e l’intelligenza migliora

Coloro che hanno capacità cognitive individuali migliori hanno ottenuto risultati inferiori rispetto ai soggetti più lenti nel risolvere compiti di "intelligenza fluida". I risultati dello studio congiunto condotto all'ospedale di Siena e dall'Università di Oxford

Pubblicato:25-08-2015 15:30
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:30

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ROMA – Allenare l’intelligenza e le capacità d’intendere e comprendere con piccole scosse elettriche distribuite sulla superficie della testa. Non è una teoria fantascientifica ma il risultato di una ricerca condotta tra l’ospedale di Siena e l’Università di Oxford. I ricercatori sono giunti alle conclusioni monitorando 58 persone dalle capacità cognitive nella norma o, addirittura, tendenzialmente superiori. I volontari sono stati sottoposti a stimolazione corticale non invasiva. Hanno, cioè, ricevuto impulsi elettrici a basso voltaggio applicati sullo scalpo. Dall’analisi è emerso che coloro che hanno capacità cognitive individuali migliori hanno ottenuto risultati inferiori rispetto ai soggetti più lenti nel risolvere compiti di “intelligenza fluida”. Questi risultati hanno suggerito che è possibile, in contesti sperimentali, ridurre le differenze cognitive individuali. Le ricerche sono state portate avanti dal laboratorio di “Brain Stimulation and Neuroinvestigation” dell’ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena, diretto dal dottor Simone Rossi e dal dottor Emiliano Santarnecchi, all’interno del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, diretto dal professor Alessandro Rossi.

“E’ possibile allenare e migliorare le capacità cognitive – spiega Simone Rossi, neo eletto presidente della Società Italiana di Psicofisiologia – anche e soprattutto in quei soggetti che sembrano avere una minore rapidità di ragionamento, tramite la stimolazione corticale elettrica, sia con correnti alternate, come in questo studio, ma anche con corrente continua o magnetica ripetitiva”. Questa modulazione non invasiva dell’attività cerebrale apre scenari “molto particolari” nell’utilizzo di queste metodiche in persone che hanno deficit cognitivi, di attenzione o di memoria. “Il prossimo obiettivo – prosegue Rossi – è capire perchè, a parità di stimoli e impulsi elettrici, alcuni soggetti rispondono meglio di altri. Questa distinzione è fondamentale per pianificare le attività di riabilitazione cognitiva in persone con particolari malattie neurologiche, psichiatriche o neurodegenerative”.

Per approfondire questa indagine – insieme all’UOC Genetica Medica diretta dalla professoressa Alessandra Renieri – è in corso di realizzazione uno studio che valuti quanto le caratteristiche individuali dei soggetti, incluse quelle genetiche, possano influire nelle modalità di risposta agli stimoli elettrici. “In questo studio – aggiunge Emiliano Santarnecchi, responsabile della ricerca – arruoleremo un campione ampio di soggetti che saranno valutati tramite test cognitivi, prelievi genetici, risonanza magnetica funzionale ed elettroencefalografia a riposo per capire quanto il profilo delineato in ciascuna di queste indagini possa contribuire alla risposta ai protocolli di stimolazione ed al conseguente potenziamento cognitivo”. Identificare i candidati migliori per ciascun trattamento è, quindi, il prossimo passo identificato dai ricercatori per puntare alla creazione di protocolli di “stimolazione individualizzati”. Questo può essere per Santarnecchi “un punto di svolta per l’applicazione clinica su larga scala della neuromodulazione non-invasiva”.


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