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VIDEO | FOTO | Le strade de ‘Il nido di Ana’, quando il centro antiviolenza si sposta

Terza puntata del reportage di Diredonne nei centri antiviolenza del Lazio

Pubblicato:25-03-2019 12:33
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:16

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RIETI – Tra i corridoi del centro commerciale Futura di Rieti c’è chi va di corsa, chi guarda attento le vetrine. Qualcuno stringe una busta, la mano di un figlio. Ad aprire le porte del centro antiviolenza ‘Il Nido di Ana’, che vive appartato sopra i locali della cittadella dello shopping del capoluogo sabino, è Alberta Tabbo, la responsabile dell’unico rifugio per donne vittime di violenza in provincia di Rieti, nato nel 2007. Un territorio di 74 comuni coperti da cinque operatrici (due avvocate e tre volontarie) per un servizio aperto cinque giorni su sette e una reperibilità h24 grazie al 1522, finanziato però con “fondi a macchia di leopardo”, alcuni regionali, altri provenienti da trasferimenti agli enti locali, che spesso arrivano in ritardo. “Non sono assolutamente sufficienti– racconta Tabbo- quelli del 2014 sono arrivati nel 2017, nelle nostre casse a gennaio 2019″. Gli ultimi sono 56mila euro utilizzati “per fare informazione, sensibilizzazione nelle scuole, pagare le avvocate per le consulenze, le utenze del centro e i rimborsi spese delle operatrici” che spesso, per arrivare nei borghi della provincia, impiegano “una o due ore di viaggio. Abbiamo tre-quattro comuni da cui provengono una serie di richieste di aiuto, un bacino interessante”. Si tratta di Poggio Mirteto, Magliano Sabina, Antrodoco, Amatrice, Leonessa,un territorio vasto” tra i monti sabini, che, continua Tabbo, “è arduo, ardimentoso coprire”, con un lavoro “praticamente volontario”.

Dal 2014 sono 160 le donne accolte da ‘Capit Rieti’, l’associazione che gestisce il centro: 55 quelle prese in carico da gennaio 2018 a gennaio 2019, di cui 20 hanno intrapreso un percorso nel centro, 18 le vie legali. Tre le donne messe in sicurezza in un alloggio segreto, solo una ha deciso di farsi sostenere da una psicologa. “Spesso si pensa che le donne vittime di violenza abbiano un disagio psicologico, che in realtà è dovuto soltanto alla situazione in cui si trovano”, spiega alla Dire Silvia Santilli, operatrice de ‘Il Nido di Ana’, che chiarisce: “Le donne si rivolgono al nostro centro principalmente per violenza psicologica, ma abbiamo molti casi di violenza fisica e sessuale all’interno delle relazioni intime“.
Il 50% delle violenze psicologiche segnalate a ‘Capit Rieti’ sono insulti, il 30% stalking, il 20 segregazione. Tra le intimidazioni il 39% è costituito da minacce, il 29% da minacce di morte, il 17% ha subito intimidazioni con oggetti contundenti, il 15 con la pistola. Il 26% dei maltrattamenti riferiti sono calci, il 23% pugni, seguiti da un 12% di percosse, stessa percentuale dei tentativi di strangolamento. E poi stupri e sputi (9%), schiaffi (6%) e morsi (3%). Ma chi è il maltrattante? Nel 44% dei casi si tratta di mariti o compagni, nel 22% di ex.
“La violenza sulle donne non ha età”, si legge sulla sintesi del monitoraggio delle operatrici, con una netta prevalenza di segnalazioni che provengono dalla fascia 26-35 (60%), probabilmente perché le campagna informative incidono di più sulle giovani donne. “Il 30% sono laureate”, spiega Santilli, perché la violenza sulle donne è anche socialmente trasversale. “La difficoltà maggiore è il reinserimento sociale- sottolinea l’operatrice- perché in una provincia come Rieti trovare un lavoro è sempre più difficile”.
Un altro ostacolo è “il rapporto con le forze dell’ordine”, che spesso nei piccoli borghi non riescono ad accogliere le donne in maniera adeguata “perché conoscono i mariti maltrattanti e magari cercano di convincerle a non denunciare”.
A compensare però c’è il Tribunale di Rieti, “un’isola felice rispetto a quelli delle grandi città”, osserva Sara Principessa, avvocata del centro. “Da noi la risposta alle problematiche delle donne è solitamente immediata- sottolinea- I giudici o gli operatori dei tribunali stanno pian piano mutando impostazione- in passato molto più rigida- e stanno venendo incontro alle esigenze delle donne”. Nelle separazioni giudiziali “l’iter si conclude solitamente in un anno e mezzo”, spiega, “per quanto riguarda le denunce i tempi sono un po’ più lunghi, perché le indagini durano fino ad un massimo di due anni ed ogni sei mesi è possibile prorogarle”, a meno che “non vi siano fatti di una gravità ed una rilevanza penale piuttosto seria”.
“Una nota positiva è che dopo tantissimi anni nella provincia di Rieti si può finalmente dire che abbiamo aperto una casa rifugio per donne e minori a indirizzo segreto– annuncia la responsabile- In qualsiasi ora del giorno e della notte, se forze dell’ordine, pronto soccorso o servizi sociali segnalano una donna da mettere in sicurezza, noi siamo in grado di accoglierla fino a un massimo di dieci”.
Una tappa importante in un territorio in cui le operatrici non perdono di vista l’azione di sensibilizzazione e informazione. Come ‘Pari e dispari’, il percorso di contrasto agli stereotipi di genere nelle scuole, che ha coinvolto nel 2017-18 circa 60 studenti dei licei artistico e scientifico di Rieti. O la ‘Settimana Rosa’, un’iniziativa informativa nata per volontà del direttore del Pronto Soccorso di Rieti che tornerà anche quest’anno dall’11 al 18 aprile. “Il nostro è un lavoro necessario, ma ci sentiamo sostenute pochissimo- conclude Alberta Tabbo- Ci sentiamo comunque in dovere di ascoltare le donne, perché è nel nostro Dna, e facciamo quanto ci è possibile per non lasciarle sole. Credo che questo sia ciò che dovrebbe fare un Governo”.
















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