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Malata di cancro denuncia: “Medici di base nella giungla delle prescrizioni”

R.C. ha 50 anni e due anni fa le è stato diagnosticato un tumore ovarico grado T3, con metastasi peritoneali e linfonodi regionali positivi

Pubblicato:25-03-2016 15:50
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:27

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ROMA – “Devo aspettare che il tumore si diffonda in tutto il corpo perché i miei controlli siano mutuabili? E se ci fosse un sospetto di malattia al fegato, come lo si potrebbe appurare se non partendo dalle analisi del sangue?”. A parlare è R. C., che racconta all’agenzia Dire la sua disavventura con il proprio medico di base, operante nella Asl Roma 6. “Il mio medico di base- dice- si è rifiutato di prescrivermi alcune analisi appellandosi al cosiddetto ‘decreto Lorenzin’. Non sa nulla delle mie terapie e di come proceda la mia malattia, eppure ha deciso che la mia esenzione è carta straccia e che devo pagarmi privatamente le analisi. Secondo lui dovrei poi partire da un’ecografia, spendendo tra l’altro molto di più rispetto ad un semplice prelievo… una cosa dell’altro mondo”. Ma andiamo con ordine. R.C. ha 50 anni e due anni fa le è stato diagnosticato un tumore ovarico grado T3, con metastasi peritoneali e linfonodi regionali positivi. Per questa patologia la terapia prevista è una combinazione di chirurgia, per asportazione di utero-ovaie e omento, e chemioterapia associata al bevacizumab, un farmaco angiogenetico di ultima generazione. La malattia scompare ai primi esami strumentali e per la paziente inizia un follow up serrato di due anni, come prevede il protocollo Scorpion adottato dal Policlinico Gemelli di Roma dove è in cura: ogni tre mesi analisi di laboratorio, sia per valutare la tossicità delle terapie e la ripresa dell’organismo sia l’andamento generale della patologia, oltre ad una Tac che richiede un controllo preliminare di alcuni valori del sangue.

R.C. ha il codice d’esenzione 048, relativo alla patologia oncologica, e un’invalidità del 100%. A un anno dalla malattia, come previsto per chi è libero da malattia e ha concluso le terapie, le viene tolta la pensione d’accompagnamento, l’indennità e le viene assegnato il codice C01 (ex. Art. comma 1 lett. d del DM 01.02.1991) che prevede l’esenzione per tutte le prestazioni di laboratorio e diagnostiche. Ma qualcosa cambia quando, il 9 dicembre scorso, entra in vigore il decreto ministeriale Lorenzin. Le prescrizioni diventerebbero di competenza esclusiva dei medici specialisti ospedalieri. R.C. riceve dalla segreteria di oncologia del Gemelli le sue impegnative, ma all’Asl le dicono che sono errate e che deve rivolgersi al medico di base per rifarle in tempo utile per potersi sottoporre alla Tac. E il medico di base pone obiezioni sull’esenzione. “Le analisi non previste dal sistema sanitario nazionale – secondo il mio medico di base- spiega all’agenzia Dire R.C.- sarebbero quelle classificate nell’allegato del decreto, precisamente quegli esami per il fegato (tipo Got e Gpt) per i quali, stando alla classificazione, bisogna ci sia un sospetto di patologia epatica”. In pratica per potersi sottoporre allo screening del sistema sanitario nazionale per il tumore che l’ha colpita, la paziente è costretta a pagare le analisi 80 euro e a rivolgersi ad un centro privato. Non è chiaro, però, se si tratti di un conflitto di norme o solo di una cattiva interpretazione del medico di famiglia. “Se un paziente oncologico deve fare questo stretto follow up- racconta ancora R.C.- è perché esiste un sospetto generale della stretta sorveglianza post cancro che la malattia si diffonda sugli altri organi, soprattutto addominali, come in questo caso. Ora, credo che il significato della ‘serrata sorveglianza’ abbia la sua ragione proprio in questa semplice parola: sospetto”. Il caso documenterebbe così una non chiara subordinazione tra le norme nazionali e quelle regionali, consegnando di fatto al medico di famiglia un alto potere discrezionale. Non è stabilito, infatti, se il medico debba obbedire al decreto o assecondare i codici d’esenzione regionale (in questo caso il C01), che recitano espressamente cosa è in carico al sistema sanitario nazionale per quello specifico caso clinico.


“Se questa riforma va nella direzione di una razionalizzazione dei costi e di una riqualificazione dei medici di base– prosegue R.C.- ridotti a semplici burocrati per troppo tempo, allora mi aspetterei da parte loro una conoscenza delle storie cliniche dei propri assistiti, per poter decidere nella maniera giusta cosa prescrivere e cosa no. Allora avrebbe un senso, ma purtroppo non è sempre così. Il mio medico di base, lo ripeto, sa poco e niente della mia storia e se ha deciso che devo pagarmi privatamente le analisi, lo ha fatto semplicemente perché non vuole assumersi la responsabilità di stabilire che in una donna che ha avuto un cancro ovarico non c’è alcun sospetto di malattia epatica”. Si chiede allora R.C.: “Chissà cosa ne pensano gli oncologi del Gemelli… È quantomeno bizzarro che diano indicazioni per fare le analisi, alcune anche richieste dall’esigenza di fare Tac periodiche. E chissà, se ai sensi del decreto Lorenzin, sarebbe preferibile spendere più soldi per un’ecografia, come mi ha suggerito il medico, piuttosto che per delle analisi del sangue…”.

D’altronde, come si legge nel decreto del ministro, è demandato alle Regioni “l’adozione di criteri più articolati, per i soggetti affetti da patologie (croniche o rare) non incluse tra quelle che determinano la ‘vulnerabilità sanitaria’”. Sembra evidente, quindi, che alla legge regionale spetti l’onere di definire ciò che non è esplicitamente legiferato dal decreto nazionale, mentre al medico la competenza, ma anche il dovere per deontologia, di valutare il caso clinico e scegliere. Del resto, se per essere medici di famiglia “bastasse prescrivere ciò che è riportato nell’elenco del decreto, semplicemente copiando e incollando quanto classificato, allora non servirebbe avere una laurea in medicina- conclude R.C.- ma basterebbe essere degli attenti segretari”.

di Silvia Mari, giornalista

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