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Test prenatale non invasivo, è boom anche in Italia VIDEO

Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’Università Tor Vergata: "Grazie al nostro spin off l'esame è ora a chilometro zero"

Pubblicato:25-01-2017 16:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:50

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ROMA  – Gravidanze nelle donne over 35 in aumento, investimento su pochi figli e desiderio di sottoporsi ad indagini non invasive, sono i motivi del successo globale dei test definiti NIPT, acronimo di Non Invasive Prenatal Testing, gli screening per le mutazioni cromosomiche che indagano il rischio a partire da un semplice prelievo di sangue dalla decima settimana di gestazione.

Un mercato che ha chiuso a 613 milioni di dollari nel 2015 e che spiccherà il volo nei prossimi anni sino a raggiungere oltre 2 miliardi di dollari tra soli 6 anni, nel 2022 e arrivare a 5,5 miliardi entro il 2025. Dati diffusi nel report ‘NIPT: crescita del mercato, prospettive future e analisi competitive 2016-2022’ realizzato dall’Istituto americano Credence Research, che ha evidenziato come il mercato abbia accolto con sincero entusiasmo questa metodica. Attraverso un semplice campione di sangue materno infatti è possibile individuare tracce del DNA circolante del feto che può essere amplificato tramite moderne tecniche di sequenziamento NGS (Next Generation Sequencing) e analizzato alla ricerca di anomalie.


“La ricerca sulle malattie e le malformazioni del feto durante la gravidanza è stata sempre di grande interesse per i ricercatori, per i genetisti e per i medici. Si è partiti, negli anni Settanta, con le indagini ecografiche, poi si è proceduti con indagini invasive cioè prelievo di tessuti del feto: liquido amniotico e villi coriali”, ha detto all’agenzia DIRE Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’Università Tor Vergata.


“Tra l’altro la tecnica di analisi dei villi coriali è stata scoperta e studiata in Italia– ha aggiunto Novelli- Per molti anni noi siamo andati avanti con questi metodi, poi c’è stata un’evoluzione perché ovviamente metodi invasivi comportano oggettivamente un rischio di interruzione della gravidanza dovuto all’invasività stessa del metodo. Si è proceduto nel cercare marcatori, markers come li chiamiamo noi, all’interno del sangue materno per studiare cosa accadeva nel metabolismo del feto. Si è cominciato a studiare la biochimica di ciò che accadeva nel sangue con quelli che chiamiamo il famoso ‘tritest‘, che non dava una diagnosi, ma una probabilità che, nel feto, ci fosse una possibile alterazione, quindi si rimandava poi al test invasivo. Questo è andato avanti per molti anni, qual è stata l’evoluzione recente? È semplice: la tecnologia del DNA straordinaria che consente di recuperare micro tracce di Dna del feto circolante nel sangue della madre, permette oggi una valutazione accurata delle principali anomalie, che sono le anomalie cromosomiche, la sindrome di Down ad esempio è visibile studiando il DNA del feto nel sangue della madre in modo non invasivo”.

Il tutto avviene all’interno del territorio italiano, con maggior tutela per la tracciabilità e stabilità del campione di sangue prelevato. Infatti, il campione non viaggia per il mondo rischiando di deteriorarsi a causa di ritardi dovuti a controlli doganali sempre più rigidi, ma viene analizzato a Roma o Milano, refertato in italiano e inviato al ginecologo che ne discute i risultati con la coppia.

“Ci sono oggi delle piattaforme tecnologiche molto avanzate- continua il professor Novelli- le company inizialmente erano localizzate negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Cina, mentre adesso la tecnologia e anche le autorizzazioni che abbiamo ottenuto da queste società consentono anche a noi in Italia di fare questo test. Ad esempio noi lo abbiamo fatto attraverso la realizzazione di uno spin off, cioè una società che lavora di intesa con l’università per sviluppare tecnologie e quindi fornire agli ospedali una informazione utile ai fini diagnostici”.

Ma quali sono i vantaggi per una donna? “Innanzitutto la semplicità dell’esame, perché la donna in gravidanza va dal ginecologo e può fare subito questo esame inviando il campione di sangue nel centro specializzato e ricevere un’informazione che il ginecologo può compensare con le visite, con l’ecografia e con altre analisi strumentali. Il consulente genetista poi decide se approfondire o meno determinate analisi, naturalmente chi lo deve fare questo test? Chi è considerata a rischio a priori: l’età materna o altre considerazioni che vanno sempre fatte in sede di consulenza genetica”, ha concluso il rettore dell’Università di Tor Vergata.

di Edoardo Romagnoli

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