NEWS:

Teatro. Massimo Zamboni: se dico comunismo non so cosa sto dicendo

Intervista all'ex leader dei CCCP alla vigilia del debutto di ‘I Soviet + L’elettricità’

Pubblicato:24-10-2017 13:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:49

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

Massimo ZamboniNAPOLI – “Un corto circuito di idee”. È a questo che aspira Massimo Zamboni, ex leader dei Cccp – Fedeli alla Linea prima e dei Csi (Consorzio Suonatori Indipendenti) poi, con il suo nuovissimo spettacolo ‘I Soviet + L’elettricità’ Cento anni di rivoluzione russa, un secolo di Cccp. Uno spettacolo che, ad usare le parole di Zamboni, è più un “comizio” in musica – e non solo – per ripercorrere un pezzo della Storia del mondo dedicato a “tutti quelli che hanno voglia di pensare, che hanno voglia di sapere cosa è stato il nostro mondo e cosa ancora potrebbe essere. Che hanno voglia di relazionarsi con la nostra storia nel complessivo”.

A raccolta – spiega Zamboni alla Dire – chiamati giovani e meno giovani con la formazione culturale più varia perché “non aspiro ad un pubblico di militanti che hanno le idee chiare e che pensino che la Rivoluzione di Ottobre sia stato il trionfo al quale non è seguito niente. Spero di avere un pubblico molto maturo. Aspiro a mettere in moto una serie di ragionamenti non solo con le canzoni ma anche con i filmati e la messa in scena. Già il fatto di chiamare comizio lo spettacolo spero inneschi un corto circuito di idee”. Un progetto ambizioso che dal 7 novembre, con il debutto al Teatro Augusteo di Napoli, prenderà vita per poi spostarsi in giro per la Penisola.

Massimo Zamboni, comunismo parola svuotata di senso

Pankow, Leningrad, Togliattigrad, la Cortina di Ferro, il Muro, e poi ancora la Jugoslavia, la Cecoslovacchia. Nomi e parole, come comunismo e socialismo reale, che dai libri di scuola, dove sembrano essere state relegate, tornano in auge con ‘I Soviet + L’elettricità’ per assumere nuovi significati. “Affidarsi a queste parole – precisa Zamboni – è abbastanza inutile. Se pronuncio la parola comunismo non so esattamente cosa sto dicendo. Sono parole che il secolo ha provveduto a svuotare man mano di significato e i rappresentanti politici che hanno via via incarnato queste parole hanno contribuito pesantemente a svuotarle di significato tanto che la distanza tra chi si sente rappresentante di quelle istanze e chi ne dovrebbe essere rappresentato è incolmabile.


Non c’è nessuna vicinanza tra i leader politici e il popolo che portava la falce e il martello come strumenti di lavoro. Tra loro una distanza infinita. Bisognerà aggiornare queste parole, credo, senza paura di pronunciarle. Mi sembra un esercizio abbastanza inutile professarsi di sinistra o dirsi comunista o socialista. Cercherei di scavare più a fondo in questo”.

Massimo Zamboni, politica oggi meccanismo di esclusione

I circoli politici e le case del popolo, tipici luoghi di aggregazione politica dell’Italia post bellica fino agli inizi del nuovo secolo, hanno lasciato spazio alla politica virtuale, alle consultazioni e ai confronti “social”. I modi di fare politica sono oggi cambiati, sottolinea l’artista, “penso che la politica sia un meccanismo di esclusione. È un arroccamento sempre più dispotico e anche molto violento da parte di chi detiene le redini della politica rispetto a chi ne è rappresentato. La politica come la intendevo io era uno strumento di inclusione, una delle poche armi alle quali chi non poteva difendersi si affidava. C’era un meccanismo di protezione sociale o di aspirazione sociale che faceva sì che i cittadini si sentissero rappresentati.

Massimo Zamboni, difficile sentirsi cittadini

La parola cittadino, non scordiamo in Italia è uscita solo nel dopoguerra, dalla Resistenza, quindi dalla fine di un’oppressione violenta e voluta – sottolinea l’ex leader del gruppo punk -”, quella politica “ci ha consegnato non solo la possibilità di votare ma di essere rappresentati e di rappresentare, di essere ascoltati. In questi ultimi 20 o 30 anni questo meccanismo è andato rossichiandosi sempre di più. È molto difficile sentirsi cittadini. Questo ha determinato uno scollamento con la politica davvero incolmabile. Io non voglio essere rappresentato politicamente perché la politica non è più in grado di assolvere questo compito. Non chiedetemi quali formule potrei trovare in alternativa perché non le saprei”.

Massimo Zamboni, in termini collettivi tutti sconfitti

I Cccp hanno legato il proprio nome più che ad un Paese ad un’idea politica, un’utopia. Facile pensare che il gruppo sia stato musicalmente sconfitto proprio come l’Unione Sovietica lo è stata dalla Storia. “Conduco una vita molto privilegiata, faccio l’artista, posso scrivere, suonare, posso esprimere il mio pensiero”, confessa Zamboni. “Vivo in un luogo bellissimo, molto sano e riposante. Se dovessi guardare solo al mio piccolo privato non ho nessuna possibilità di sentirmi sconfitto. Mi sento sconfitto se ragiono in termini collettivi perché vedo che tutto quello che erano i nostr

i sogni, non solo giovanili ma in termini di pensiero, di un pensiero che si tramanda da secoli, quello della Liberazione, quello dell’utopia, allora è facile sentirsi sconfitti oggi dove queste parole non esistono più nel nostro vocabolario quotidiano.

Non pensiamo mai in termini utopici, non abbiamo mai un progetto verso il futuro, non pensiamo mai a una liberazione che non sia individuale. In questo senso siamo decisamente sconfitti, sotterrati”. Ma il mondo non è solo individualismo, profitto, Internet e la sua velocità, c’è ancora tanto da dire e da scoprire. Esiste ancora la possibilità di vivere ascoltando gli altri e l’ambiente che ci circonda perché, conclude Zamboni, “le ragioni della mia vita sono molto più durature di tutto questo, perché arrivano da molto lontano e sono proiettate molto più lontano.”

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it