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‘Osas’, quando le apnee notturne rovinano il sonno (e la vita)

una malattia cronica secondo i criteri stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità, che si manifesta con sonnolenza diurna e innalzamento del rischio dell'insorgenza di cardiopatie,

Pubblicato:24-09-2015 13:00
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:34

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Mentre dormiamo il naso e la faringe  tendono a chiudersi e si inizia a russare. In alcuni casi la chiusura può essere completa e portare alla comparsa di apnee con successivi tentativi di risveglio improvviso come conseguenza dello sforzo respiratorio. Stiamo parlando dell‘Osas, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno: una malattia cronica secondo i criteri stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità, che si manifesta con sonnolenza diurna e  innalzamento del rischio dell’insorgenza di cardiopatie, problemi cerebrovascolari, ipertensione arteriosa, alterazioni del metabolismo e deficit delle funzioni cognitive. Un quadro che facilmente porta a un peggioramento della vita sociale e lavorativa, e che sembra rivestire un ruolo importante come causa o concausa degli incidenti stradali mortali in Italia (circa il 20%).

UN TAVOLO PER GESTIRE LA SINDROME SUL TERRITORIO – Di questa patologia si è occupato un Gruppo di lavoro interdisciplinare di esperti, istituito presso il ministero della Salute nel novembre del 2014. I lavori sono terminati lo scorso luglio e per la pubblicazione del documento ufficiale si attende solo il completamento dell’iter burocratico. Nel documento si prendono  in considerazione “le forti ricadute dal punto di vista socio-sanitario di una patologia ancora poco diagnosticata e che richiede la creazione di una rete territoriale con l’obiettivo di rendere possibile un aumento dei pazienti diagnosticati e trattati”. A tracciare l’identikit dell’Osas è il professor Michele De Benedetto, primario emerito di Otorinolaringoiatria e coordinatore del tavolo tecnico intersocietario su ‘Sonnolenza e sicurezza alla guida’. Un gruppo di lavoro che “opera da tre anni con l’obiettivo primario di rendere possibili interventi mirati a ridurre i rischi nei trasporti, ma anche sul lavoro”, che raggruppa numerose Società scientifiche, rappresentanti  delle associazioni dei malati e riceve la collaborazione dei ministeri della Salute e dei Trasporti, nonchè di enti come Aci, Ania, rappresentanti della categoria degli autotrasportatori e di Assogas.

UNA PATOLOGIA SCONOSCIUTA ANCHE A MOLTI MEDICI – L’Osas, spiega De Benedetto all’agenzia Dire, “di per sè è una patologia facile da diagnosticare ma purtroppo ancora oggi è poco conosciuta e la presenza di vari sintomi non fa pensare immediatamente a una malattia specifica. La sintomatologia infatti è complessa e rende necessario un approccio interdisciplinare per arrivare a una diagnosi corretta. In realtà l’Osas non fa parte del bagaglio culturale dei vari specialisti e non trova uno spazio ben codificato d’insegnamento nelle scuole di specializzazione delle varie Società scientifiche, che invece hanno un ruolo importante nella gestione dell’Osas. Si è cercato di rimediare a questa lacuna con con corsi di perfezionamento e approfondimento nelle singole specilità”. Obiettivo per il futuro, quindi, “è l’istituzione di un  corso autonomo interdisciplinare post-laurea essendo fortissimo l’interesse per questa patologia da parte di numerose specialità”.


COLPITI PIU’ GLI UOMINI DELLE DONNE, ATTENZIONE A FUMO E CHILI DI TROPPO – La patologia è davvero trasversale. Uno degli ultimi studi epidemiologici, datato febbraio 2015, evidenza una prevalenza della malattia fino al 40% negli uomini e al 25% nelle donne, con la differenza che in queste ultime si evidenzia subito dopo la menopausa. Storicamente le alterazioni anatomiche delle prime vie aeree e le deformità cranio-facciali sono stati considerati i più importanti fattori di rischio e a questi si associano l’obesità, la sindrome metabolica e l’età come ulteriori fattori causa dell’aggravamento dell’Osas. Considerato che la sonnolenza diurna è il più tipico sintomo della patologia, è facile immaginare le ripercussioni della mancata diagnosi e del mancato trattamento, sia in termini di incidenti sulla strada e sul lavoro, ma anche per le ripercussioni in ambito sanitario in rapporto all’elevato numero di coomorbidità correlate con l’Osas.

COME SI GUARISCE – Il trattamento della sindrome varia da caso a caso. “Finora il gold-standard terapeutico è stata la terapia con Cpap- aggiunge De Benedetto- una terapia ventilatoria che consiste nel dormire con una maschera sul volto capace di emettere aria a una pressione maggiore e tale da vincere l’ostruzione respiratoria. Una terapia che se ben fatta dà ottimi risultati ma non sempre trova la collaborazione dei pazienti”. Oggi è possibile ricorrere, in pazienti ben selezionati, a terapie alternative di tipo chirurgico sui tessuti molli delle vie aeree superiori, oppure che ricadono nel campo della chirurgia maxillo-facciale o, ancora, interventi in ambito odontoiatrico con il ricorso ad apparecchi che servono a portare avanti la lingua e la mandibola per aumentare lo spazio respiratorio. In aggiunta ci sono altre terapie di supporto perché si cerca di personalizzare il più possibile la terapia, a seconda delle caratteristiche del paziente.

CAPIRE L’OSAS, CE LO CHIEDE L’EUROPA – Ad accendere i riflettori sull’Osas indubbiamente ha contribuito una direttiva europea emanata nel luglio 2014, in cui per la prima volta l’Osas è stata considerata quale fattore di rischio primario per incidenti nei trasporti. Per questo tutti gli Stati membri sono stati invitati a mettere in atto tutte le strategie necessarie  per poter individuare e diagnosticare a partire dal 2016 i pazienti Osas in possesso di patente di guida, con speciale attenzione per i trasporti pesanti e per quelli pubblici. Anche l’Italia ha fatto propria la direttiva e si attendono a breve le indicazioni emanate dai ministeri della Salute e dei Trasporti. Secondo De Benedetto è “un bene che la direttiva europea abbia acceso un faro su questa patologia: non sarà facile dare subito risposte adeguate in tempi brevi, ma è importante che si prenda atto del problema, ognuno per quanto di sua competenza e si cerchi di operare nel modo più adeguato possibile”.

di Erika Primavera – giornalista professionista

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