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Sordi, Giorgio Gobbi: “Per ‘Ricciotto’ non mi voleva, preferiva Califano”

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Pubblicato:24-02-2017 18:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:57

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ROMA – “È vero: Alberto Sordi non mi voleva per il ruolo di Ricciotto nel ‘Marchese del Grillo’ perché pensava fossi troppo giovane per interpretarlo, mentre come compagno di giochi e fedele scudiero avrebbe preferito al suo fianco un uomo più adulto. Fu poi il regista Mario Monicelli, bontà sua, a scegliermi e di questo gli sono grato perché probabilmente non avrei fatto l’attore. So che tra i due ci fu qualche discussione e scaramuccia, mentre per Ricciotto si erano fatti i nomi di Franco Califano e Ninetto Davoli, effettivamente più grandi di me di una ventina di anni”. A rivelarlo all’agenzia Dire è l’attore Giorgio Gobbi, in occasione del 14esimo anniversario della morte di Alberto Sordi.

“Alberto mi ha insegnato moltissimo, forse quasi tutto- prosegue Gobbi- Sordi, insieme anche a Monicelli, sono stati i miei padrini perché ho debuttato con loro e mi sono ritrovato in una specie di giostra. Immaginate cosa significa per un attore, all’epoca giovane come me (avevo 24 anni), essere catapultato dalla scuola ad un set così prestigioso come ‘Il Marchese del Grillo’… Per me è stata un’emozione fortissima, mi misuravo con mostri sacri come Paolo Stoppa e Flavio Bucci, insomma con personaggi talmente grandi che per me è stato veramente una specie di sogno ad occhi aperti. Ma dopo sei o sette giorni di acclimatazione a stare insieme a persone così geniali, per me è iniziato il divertimento e mi sono messo nella condizione di essere un po’ scanzonato anche io. E ha funzionato, perché poi il risultato è stato quello che tutti hanno visto”.

“Se ricordo un aneddoto divertente durante le riprese del ‘Marchese del Grillo’? Ce ne sono tantissimi- risponde all’agenzia Dire Giorgio Gobbi- si potrebbe scrivere un libro, anche se quelli più divertenti non si possono raccontare! Ce n’è però uno molto carino, che quasi nessuno immagina, e che riguarda la scena in cui Onofrio dice alla madre che ha deciso di andare a Parigi perché a Roma si sente sprecato. Avevamo da poco finito di fare la pausa e Monicelli aveva fretta di ricominciare a girare, per cui disse ‘Motore!’ mentre Sordi aveva ancora in mano un chicco di uova. Così quando la madre si rivolse ad Onofrio dicendogli ‘Tu non sai fare niente’, Sordi tirò per aria il chicco di uva e lo riprese al volo con la bocca; quindi si rigirò verso di lei rispondendole: ‘Tiè, e poi dici che non so fa’ niente!’. La scena rimase nel film ma non era nel copione”.


A rendere celebre Giorgio Gobbi, alias Ricciotto, la famosissima frase ‘S’è svejato’… “Questa frase è diventata un must nella comunicazione romana per indicare chi è pelandrone- dice Gobbi- una sorta di refrain per additare chi è un po’ addormentato: ‘Eccolo lì, s’è svejato!’, si sente dire spesso a Roma. È diventata poi anche suoneria o sveglia nei cellulari di molti romani”. Sordi all’inizio non ti voleva, poi però ti ritroviamo sempre al suo fianco nel ‘Tassinaro’… Che rapporto si era creato tra voi? “Nel frattempo con Alberto si era creato un rapporto meraviglioso- risponde l’attore- molto profondo e quasi filiale, nel senso che io ad un certo punto mi sono proprio sentito figlio suo. Sordi è riuscito ad essere severo e rigoroso ma con grande affetto ed è questo secondo me l’atteggiamento giusto del padre. Mi ha insegnato il cinema e suggerito piccoli trucchetti che non conoscevo”.

Racconta ancora Gobbi: “Io ero uno dei pochi che durante le riprese, specialmente la mattina quando arrivavo sul set, poteva accedere alla sua roulotte che era off limits per tutti. Spesso mi chiamava nel suo spazio privato per rivedere insieme le battute: ‘Vieni Giorgè- mi diceva- che mettiamo a posto il copione’. Sordi con me è poi diventato anche affettuoso, mi prendeva sotto braccio e mi faceva la famosa ‘scafetta’. Quando è morto mi è mancata la terra sotto i piedi… Ricordo che il giorno del suo funerale alla Basilica di San Giovanni- conclude- vagavo in quella piazza in lacrime, mi sono sentito veramente orfano”.

 

di Carlotta Di Santo

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