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L’Uganda? Terra esempio di accoglienza. Guterres (Onu): “Sosteniamo il Paese”

Le fonti dell'Onu evidenziano che in solo 12 mesi, i profughi in Uganda sono più che raddoppiati

Pubblicato:23-06-2017 17:21
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:27

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ROMA – “In un mondo in cui sempre più persone chiudono egoisticamente le porte o le frontiere, impedendo ai rifugiati di entrare, un esempio come questo va lodato e ammirato da tutta la comunità internazionale”. Lo ha detto Antonio Guterres, visitando il campo profughi di Imvepi, nell’Uganda settentrionale.

Guterres si trova in Uganda per partecipare a un summit di alto livello indetto dal governo proprio per affrontare la crisi dei migranti.

Come ricordano le Nazioni Unite sul proprio sito web, questo campo è la prima tappa dei sud-sudanesi dopo aver superato il confine, in fuga da un Paese afflitto da quattro anni di violenze.


In questo centro, aperto a febbraio scorso, ora risiedono non meno di 120mila persone – in maggioranza donne e bambini – ma in totale l’Uganda ne ospita almeno 900mila. Altri 300-400mila appartengono ad altre nazionalità.

“L’Uganda sta diventando la principale meta per i profughi subsahariani in fuga dai luoghi di conflitto”, ha spiegato alla DIRE qualche giorno fa Domenico Fornara, ambasciatore italiano a Kampala.

Le fonti dell’Onu evidenziano che in solo 12 mesi, i profughi in Uganda sono più che raddoppiati, passando da 500mila a quasi 1 milione e 300mila. Ciò rende l’Uganda il terzo Paese a livello mondiale per numero di rifugiati.

Guterres ha quindi espresso l’augurio che oggi, i leader dei Paesi del Bacino del Nilo, sostenuti dall’Onu e da altre organizzazioni internazionali, sappiano “rispondere al nostro appello a un aiuto finanziario massiccio, sia per rispondere all’emergenza umanitaria, sia sul piano degli investimenti necessari al sistema educativo, medico-sanitario, delle infrastrutture e (della tutela) dell’ambiente, in modo da poter rispondere a questa colossale sfida”.

A proposito del Sud Sudan, il successore di Ban Ki-Moon e Kofi Annan ha detto: “E’ ora che la guerra finisca. E’ ora che tutti i leader sud-sudanesi capiscano che devono porvi fine”. Quindi ha ringraziato i capi di Stato della regione e gli esponenti degli organismi internazionali – vale a dire l’Autorità intergovernamentale per lo sviluppo (Igad), l’Unione africana e l’Onu – “per gli sforzi profusi” nel sostenere “la creazione delle condizioni affinché la pace sia ripristinata”.

RADIO PACIS: DIAMO SPERANZA AI SUD-SUDANESI

“Ad Arua lavoriamo nei campi profughi per dare loro speranza, ma senza trascurare le comunità locali: anche loro soffrono gli effetti di questa invasione”. A raccontarlo alla DIRE è padre Tonino Pasolini, direttore di ‘Radio Pacis’, un’emittente che lavora ad Arua, distretto al confine col Sud Sudan.

Negli ultimi 12 mesi si è passati infatti da 500mila a 950mila rifugiati provenienti dal Paese più giovane del mondo, e già afflitto da quattro anni di conflitto armato. Questa emittente, fondata nel 2001 dai missionari comboniani, sta cercando di fare la sua parte: “Col permesso delle autorità, andiamo nei campi profughi di Arua e organizziamo dei tavoli di dialogo, che raccolgono dalle cento alle 300 persone”, prosegue il comboniano, in Uganda da 51 anni.

“Il nostro scopo – sottolinea padre Pasolini – è dare una speranza a questi sfollati, che a causa della guerra hanno perso tutto. Poi, coinvolgiamo anche le comunità locali, che ormai sono ridotte in minoranza rispetto ai profughi”. Anche gli ugandesi soffrono gli effetti di questa “invasione”, è un fatto “normale”, dice il missionario.

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“E’ importante però che si rendano conto di quanto le sofferenze dei sud-sudanesi siano intense: si sentono senza un futuro, stranieri in terra straniera”. Il terzo obiettivo, secondo padre Pasolini, “è far capire alle organizzazioni umanitarie attive nei campi quali sono i reali bisogni degli sfollati”. Le discussioni infatti vengono registrate e poi inserite nella scaletta settimanale dei programmi radio.

“In questo modo chiunque può ascoltarci, e trarre spunto”. Il vostro lavoro quindi è favorire l’integrazione? “In un certo senso sì – risponde padre Tonino – diciamo che si tratta di dare speranza”.

E del summit di ieri e oggi a Kampala, che il governo del presidente Yoweri Museveni ha indetto proprio per parlare di questa emergenza? “Mi rifaccio alle parole del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres: servono più aiuti. Ma non solo: serve che la comunità internazionale faccia pressione affinché la guerra in Sud Sudan finisca, attraverso una soluzione politica. E’ di questo che la gente ha bisogno. Io non capisco molto di queste cose, ma vedo che per il momento ci si muove solo per mantenere vive queste persone. Va bene, certo, ma bisogna risolvere il conflitto in quel Paese, che sta assumendo proporzioni sempre più drammatiche”.

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