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La legge sulla privacy e l’ipocrisia dei nostri Paesi

di Barbara Varchetta, (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

Pubblicato:23-04-2016 13:38
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:37

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di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

L’appello del governo egiziano al diritto alla privacy che ha impedito di mettere a disposizione degli investigatori italiani le intercettazioni del caso Regeni, la scelta di Apple di negare l’accesso a smartphone e tablet in uso agli autori dell’ultima strage avvenuta in territorio statunitense, l’ostinazione delle autorità belghe nel rispettare ferree norme garantiste a tutela di individui senza scrupoli che hanno cagionato la morte di decine di persone e diffuso il terrore in tutto il mondo civilizzato, sono l’ennesimo simbolo dell’ipocrisia che caratterizza l’agire istituzionale nel nostro tempo.

Sono infatti già numerose e pienamente operative le leggi nate dalla necessità di fronteggiare le manifestazioni dell’arroganza jihadista, piuttosto che il crimine organizzato, che hanno finito per ridimensionare l’alveo dei diritti di libertà in nome della tutela della sicurezza dello Stato; una pratica non nuova per i Paesi occidentali che, in ogni tempo, si sono trovati di fronte a situazioni critiche non esitando a privilegiare la protezione collettiva, con il conseguente restringimento delle libertà consolidatesi in secoli di democrazia.


Si è dato il via, ormai da tempo, ad una stagione di legislazioni repressive orientate a sanzionare molti dei reati connessi al terrorismo ed alla criminalità ed accompagnate da provvedimenti di tipo preventivo atti a smantellare ed indebolire tali pervasivi fenomeni: deroghe a regole processuali, eccezioni alla giurisdizione ordinaria, introduzioni di reati prodromici alla commissione di atti terroristici, maggiori garanzie a tutela dell’operato di forze di Polizia ed agenti di Intelligence, rafforzate misure di prevenzione.

E così come il Legislatore ha inteso corroborare la tutela di beni giuridici riconosciuti quali irrinunciabili, la prassi consolidatasi nel lungo periodo ha imposto alle nostre società un’implicita ed informale restrizione di molte prerogative legate al diritto di informazione, alla tutela della privacy, al diritto alla riservatezza e persino alla libera circolazione degli individui, di cui tanto si sta discutendo negli ultimi mesi.

La consapevolezza di dover necessariamente rinunciare ad una porzione della libertà individuale in nome di una maggiore sicurezza collettiva è ormai un assunto largamente condiviso dalle società occidentali e dagli Stati sebbene sia piuttosto evidente che ogni situazione nata con le caratteristiche dell’emergenza dovrebbe rimanere dimensionata ad una ben determinata porzione temporale al fine di non trasformarsi in una regola di condotta permanente.

Anche le legislazioni ad hoc dovrebbero incarnare le medesime caratteristiche, ma la sensazione ampiamente percepita è che il lasso di tempo che interesserà tali limitazioni è destinato a dilatarsi oltre misura e che saranno le abitudini dei singoli a subire un’irreversibile modifica in senso restrittivo.

Del resto, la libertà assoluta è, come amerebbe dire Karl Popper, un nonsense, qualcosa che non ha ragione d’esistere se non correlata al più alto concetto di responsabilità; proprio il richiamo alla responsabilità, alla riduzione della violenza, all’eliminazione dell’ingiustizia e del pericolo per la comunità, si fonda sulla necessaria limitazione delle libertà dei singoli nella direzione di una maggiore e ritrovata libertà collettiva.

La democrazia porta in sé una forma di identificazione col principio del controllo: non è fondato ritenere che uno Stato democratico sia libero se non applica i criteri di restrizione imposti dal vivere civile, prima, e dalla coesistenza con sistemi multietnici e pluralisti, poi; società nelle quali è inimmaginabile che ciascuno agisca senza un monitoraggio strutturato o non accetti di dimensionare per difetto la propria sfera di diritti a vantaggio di quella altrui.

La lesson learned che gli eventi della nostra storia recente ci consegnano va senz’altro nella direzione di un’accresciuta esigenza di sicurezza che può essere realizzata soltanto attraverso l’accettazione della cosiddetta eterna vigilanza, fenomeno tutt’altro che transitorio che accompagna da secoli la vita delle più forti e antiche democrazie del mondo.

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