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Bambini obesi in calo ma l’Italia è sempre maglia nera d’Europa

Giornata di studio al policlinico Umberto I di Roma

Pubblicato:22-10-2016 15:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:12

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bimbi obesiROMA – Uno sgabello sorretto da tre gambe – alimentazione, sedentarietà e psicologia – su cui poggia il ‘piano’ della genetica, che ha un’incidenza compresa tra il 40 e il 60%. La possiamo rappresentare cosi’ l’obesità, compresa quella infantile. Una vera e propria patologia che vede l’Italia “come peggiore Paese europeo” per percentuale (intorno al 30%) di bambini in lotta aperta con la bilancia, spiega il professor Andrea Vania, responsabile del Centro di Dietologia e Nutrizione pediatrica dell’università La Sapienza. Qualche passo in avanti è stato fatto negli ultimi anni, ma non basta. “Nel 2009 avevamo una percentuale di bimbi in sovrappeso o obesi del 34%, ora siamo scesi intorno al 28%. Quindi si registra un calo più o meno di un punto percentuale all’anno: troppo poco se vogliamo tornare ai livelli del 5% degli anni Cinquanta, servirebbero almeno altri 20-25 anni”.

E non basta mettere il bimbo a dieta. I fattori in gioco sono tanti, a confermare la tesi secondo cui “dietro alla storia di un bambino con dei chili di troppo non c’e’ solo una questione di quanto o come si mangia”. Per questo, spiega Vania, “serve un approccio globale, pediatrico, nutrizionale e psicologico”. Più ambiti di intervento, dunque, quanti sono stati quelli affrontati dal convegno ‘Obesity prevention day‘, organizzato da Ancis Politeia Onlus nell’aula magna del dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria infantile del Policlinico Umberto I di Roma. Una giornata di studio patrocinata da diversi enti e associazioni, tra cui Forum Terzo Settore Lazio, Ipasvi, Sima, Prociv, La Sapienza, in cui si sono confrontati medici, nutrizionisti, psicologi ed esperti del settore. Con un solo obiettivo: sensibilizzare sui rischi dell’obesità e sui suoi effetti trasversali e a lungo termine.

Un dato fa riflettere. Il Sistema sanitario nazionale “effettua una sorveglianza biennale su un campione che va dai 50mila ai 70mila bambini intorno al primo ciclo dell’infanzia, ovvero gli 8 anni”, ma poi nel passaggio all’adolescenza le cose si complicano. Esistono delle indagini relative a questa fascia di età, che però “non sono ampie né biennali”. Ciò dipende da “come è organizzato il Sistema”, ma anche dal dilazionarsi delle visite dal pediatra “man mano che i bambini crescono”. In più, a partire dagli 11-12 anni, il ricorso al pediatra è facoltativo e spesso mamma e papà preferiscono portare i figli direttamente dal medico di famiglia. Un errore, perché bisogna considerare la specificità del bambino.


Piuttosto, quando il piccolo comincia ad allargare il giro vita e ad abbuffarsi davanti alla tv, bisognerebbe affidarsi anche all’analisi di uno psicologo. E iniziare un trattamento “significa il più delle volte affrontare un disagio relazionale nella famiglia- aggiunge Vania– come se il bimbo con i suoi chili in più accendesse un faro che mostra l’esistenza di un problema tra le mura di casa”. A incidere sono anche le mutate abitudini alimentari e comportamentali degli ultimi anni. Esiste un dato riferito agli adulti che però può essere preso come monito per i più piccoli: “Nel 2000 è stato segnato sicuramente uno spartiacque- riporta Gianni Biondi, psicologo e psicoterapeuta, nonché docente di Psicologia pediatrica alla Sapienza- In quell’anno per la prima volta il numero degli adulti in sovrappeso ha superato il numero di quelli sottopeso”.

Ma se parliamo di bambini, di chi sono le colpe? “Spesso viene puntato l’indice solo sulla famiglia, ma l’obesita’ e’ un insieme di cause scatenanti: effetti della pubblicita’ sempre più aggressiva, omologazione sociale, cambiamento di abitudini, solitudine”. Certo il loro peso, è il caso di dirlo, ce l’hanno anche la diffusione di videogiochi, computer e smartphone “che ‘immobilizzano’ il bambino e lo rendono sedentario”. Tanti i rischi e la possibilità che un undicenne obeso si trasformi in un quarantenne non solo con problemi fisici, ma anche con problemi di relazione.

“Bisogna prestare particolare attenzione al periodo di transizione dall’adolescenza all’eta’ adulta- rincara Biondi– Perché molti teenagers obesi presentano un rischio maggiore di avere uno sviluppo non corretto della propria identita’ e delle relazioni con gli altri”. Occhio dunque alla “carenza di comunicazione, tra genitori e figli ma anche tra genitori e medici”. E qui, l’ultimo consiglio: “Trattiamo i nostri figli secondo l’eta’ che hanno e non secondo le nostre aspettative”, chiude Biondi. Alla giornata di confronto hanno partecipato tra gli altri anche la professoressa Anna Clerico, responsabile del dipartimento di Oncologia pediatrica, la dottoressa Paola Cimbolli, psicologa e psicoterapeuta, e la dottoressa Antonella Moretti, coordinatrice infermieristica dell’ospedale Bambino Gesù.

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